GELSENKIRCHEN — Di francese, il capocannoniere dell’Europeo ha il nome di battesimo (Georges, e non Giorgi come otto suoi compagni) e la parlantina sciolta. Di georgiano ha tutto il resto, a cominciare da un sorriso cristallino, spontaneo. Mikautadze è nato a Lione da una coppia emigrata e si è formato calcisticamente a Metz (come Pjanic e Hazard), dopo che il club della sua città lo scaricò quindicenne perché troppo gracile. Otto anni dopo è ancora piccolino, ma pochi hanno un bagaglio tecnico completo come il suo: in Germania se stanno accorgendo tutti. Nella notte che ha cambiato la storia della Georgia ha giocato una partita sublime, alla fine della quale ha guidato le danze dei suoi compagni, cantando e ballando la canzone che sta spopolando a Tblisi, che fa più o meno così: “Siamo qui, siamo qui, a mostrare la nostra forza”.
Mikautadze, vi rendete conto di cosa succede?
«Ci stiamo rendendo conto che sta succedendo qualcosa di incredibile. La gente è impazzita, stiamo impazzendo anche noi».
Sembra che tutta la Georgia fosse a Gelsenkirchen, mercoledì.
«Tutta no, ma una buona parte sì».
Il vostro lo si può definire un miracolo?
«Assolutamente no. Sono due anni che ci prepariamo per questo. Abbiamo lavorato duramente. Il nostro ct Sagnol ha saputo convincerci che avevamo la possibilità di arrivare fin qui. E ci ha convinto che avremmo potuto battere il Portogallo. Ora ci tocca la Spagna: provarci non costa niente».
Quindi non è un miracolo nemmeno il fatto che lei sia il capocannoniere?
«Eh no. I gol li ho sempre fatti, in ogni categoria e in ogni squadra tranne che in quei sei mesi all’Ajax, dove è andato tutto storto: non avevo una casa, ho passato settimane da solo in una stanza d’albergo, non parlavo la lingua, nessuno mi ha supportato. Tornare a Metz è stata una liberazione, basta vedere quante reti ho segnato da gennaio».
Il suo cartellino è dell’Ajax, il Metz ha un diritto di riscatto a 13 milioni. Pensa che grazie a questi gol il mercato si scatenerà attorno al suo nome?
«Me lo auguro, mettermi in mostra era un mio obiettivo. Ma adesso penso solo alla Spagna».
Le piacerebbe giocare in Italia?
«Certo, moltissimo».
Magari con Kvaratskhelia?
«Eh, magari. Io e Khvicha siamo davvero una bella coppia, ci integriamo benissimo, ci intendiamo a occhi chiusi. Lui è il nostro trascinatore, il nostro punto di riferimento: sono contento che con il Portogallo si sia sbloccato, dopo le prime due partite era un po’ frustrato perché non era riuscito a esprimersi come avrebbe voluto».
Si sente un eroe nazionale?
«Penso che dopo quello che abbiamo fatto qui lo siamo tutti. Eroi nazionali: sì, mi piace».