«Strano e inappropriato». In due parole lo storico Giovanni Cerchia sintetizza ciò che pensa dell’invito alla sobrietà del governo Meloni per la festa del 25 Aprile. Il professore di storia contemporanea dell’università del Molise martedì ricorderà, con altri, a 80 anni esatti di distanza, la “resa di Caserta” del 29 aprile 1945. Un’iniziativa proprio nella reggia borbonica dove fu firmato l’accordo che, sancendo la sconfitta del nazifascismo, diede inizio al percorso di pace. «Ma prima festeggiamo la liberazione del nostro paese. Il 25 Aprile non è una data di parte. È riconosciuta dalla Costituzione come momento fondante della nostra vita democratica. Non è una celebrazione di destra o sinistra, chi non si riconosce in questo ambito ha un problema serio. È fuori dai principi costituzionali».
In che senso trova “strano” quanto indicato dal governo Meloni?
«Cinque giorni di lutto nazionale sono un inedito nel nostro paese. Non ci sono precedenti. Non è stato fatto per nessun altro Papa. Quindi è una decisione strana, per non voler aggiungere altro. Seppure io ritengo che Bergoglio sia stato una personalità straordinaria. Alla morte di Berlusconi si stabilì un solo giorno, uno che ci teneva tanto come lui a questi riconoscimenti avrebbe potuto prendersela a male».
E perché “inappropriato”?
«Il 25 Aprile è sempre stata una ricorrenza sobria. Sembra una excusatio non petita, come se chi la celebra si lasci andare solitamente ad eccessi…»
Ottanta anni dalla liberazione dal nazifascismo, cosa racconta il 25 Aprile ai giovani?
«È sempre importante ricordare la propria storia, ma lo è ancora di più oggi. La tragedia del nazifascismo dovrebbe rafforzare il nostro senso di responsabilità, facendo proseguire il lavoro di costruzione di una Europa oltre i nazionalismi. Bisogna proseguire un percorso cominciato proprio 80 anni fa dai protagonisti di quegli accordi di pace, che indicarono la direzione e assunsero impegni».
Quanti di questi impegni sono stati rispettati?
«Pochi, direi pochissimi. Se si pensa che si disse “mai più guerra” e invece guardiamo cosa accade nel mondo, dall’Ucraina alla Palestina. L’Europa per svolgere un ruolo non può restare solo una potenza economica, deve esprimere una politica unitaria e anche, a mio avviso, avere un suo esercito. Proprio nello spirito già presente nel trattato del 1951 che diede vita alla comunità europea del carbone e dell’acciaio e poi alla costituzione dell’Ue».
Professore, martedì è impegnato anche in un’iniziativa per ricordare gli 80 anni della “resa di Caserta”. Quanto è importante?
«La Reggia di Caserta è stata protagonista della resa dei nazisti e anche di quella dei fascisti, che delegarono i tedeschi a firmare. Siamo impegnati a ricostruire quel pezzo di storia importante per il mondo intero e che nel monumento borbonico trova il suo simbolo. Una fase in cui l’edificio fu pure maltrattato per piegarsi a esigenze belliche, essendo diventata la sede degli Alleati. Si deve alla sensibilità della direttrice Tiziana Maffei e ai contributi dell’Archivio di Stato se si sta facendo questo lavoro, che dovrà portare anche a dei podcast. Io collaboro a un lavoro collettivo anche in quanto sono nel consiglio di amministrazione della Reggia. Questo percorso ci porta al convegno del 29 aprile e a una mostra che sarà inaugurata alle 12,30 quel giorno. Ma la ricerca continua, tanti sono i vuoti da colmare. Per esempio non sappiamo in quale sala fu firmato l’accordo che diede l’avvio alla pace. Stiamo provando a stabilirlo».