TORINO – Bologna-Juventus vale un bel pezzo di Champions: i bianconeri stanno un punto sopra ma non meglio. A parlare della sfida del Dall’Ara è Gigi Maifredi, tifoso della Juve (“Mi fece innamorare Sivori”), allenata in una stagione sbagliata, e bolognese d’elezione. “Ma per stasera mi dichiaro super partes”.
Lasciando perdere le questioni di cuore, chi meriterebbe di andare in Champions?
“Ultimamente, il Bologna. Ma per nome e tradizione, tutti vogliono che ci vada la Juve”.
Perché non le è piaciuto il trasporto con cui Tudor e la squadra hanno festeggiato la vittoria sul Monza?
“Perché non è da Juve festeggiare così partite che devi vincere a prescindere: la Juve in 10 è meglio del Monza in 11. E non ci si può giustificare dicendo che la squadra non è matura, non dopo 34 giornate e tutti quei giocatori di livello medio-alto”.
La forza mentale del Bologna è diversa?
“Arriva alla sfida con entusiasmo perché sta stravolgendo tutti i pronostici. Dopo la marcia trionfale dell’anno scorso, le cessioni di Calafiori e Zirkzee e l’infortunio di Ferguson, nessuno avrebbe scommesso che si sarebbe ripetuto. Ha un gruppo dirigente eccezionale, a cominciare da Sartori, e una squadra coesa, fisica, attuale”.
Attuale?
“Oggi conta soprattutto avere una bella corsa, perché tutto va fatto ad velocità: se ci sai aggiungere un po’ di tecnica, arrivi in alto”.
La storia di Thiago Motta alla Juventus somiglia alla sua?
“No, perché io ero stato chiamato per cambiare il modo di pensare calcio del club ma credevo che la prima fosse una stagione di transizione, tant’è che non prendemmo neanche il terzo straniero. Avessimo comprato Dunga, come mi aveva suggerito Baggio, avremmo vinto lo scudetto. Il compito di Thiago era invece di migliorare una struttura che già c’era”.
Resta il fatto che chi ha provato a cambiare il Dna della Juve alla fine se n’è andato in fretta, come è successo anche a Sarri: c’è un rifiuto al cambiamento?
“Ai miei tempi c’erano correnti di opposizione. Io fui troppo naïf, troppo intransigente. Mi sarebbe servito avere al fianco qualcuno che mi consigliasse e mi facesse ragionare, invece già a Natale, dopo un 2-2 col Cagliari, dissi a Montezemolo di cercarsi un altro. Alla Juve ho dato al massimo il 10%: mi sono sentito alla destra di Dio, ma poi ho fatto harakiri. Quando me ne andai, l’Avvocato mi invitò a casa sua e mi chiese mille volte: perché?”.
Perché, dunque?
“Perché ero abituato a comandare, ad avere in mano la società. Lì a comandare erano dei gruppetti”.
Ne è rimasto vittima anche Motta, secondo lei?
“Lui ha sbagliato a fare copia incolla del Bologna: è l’errore più grande che un allenatore può commettere quando passa da una squadra all’altra. L’anno scorso aveva tre centrocampisti – Freuler, Aebischer e Ferguson – che erano tre allenatori in campo: lui spiegava, loro mettevano in pratica. Alla Juve invece non ce n’è nemmeno uno”.
Stasera chi vince?
“Non lo so, ma la Juve deve puntare sulla forza del nome più che su quella dei giocatori. Per il Bologna invece può essere decisivo il pubblico, perché sa creare un ambiente fantastico. Allenare a Bologna è una vacanza, la città è bellissima, si mangia bene, i tifosi non ti disturbano mai”.
E come mai secondo lei Thiago Motta ha preferito andarsene?
“Non lo so, ma di sicuro dimostrargli qualcosa sarà la motivazione che può fare la differenza, come successe alla Juve prima che arrivassi io: quando cominciò a girare il mio nome, tutti si compattarono attorno a Zoff e vinsero Coppa Italia e Coppa Uefa. I rossoblù vorranno dimostrare di essere forti a prescindere e non perché era Thiago a guidarli. E poi a Bologna ce l’hanno con la Juve perché gli porta sempre via chi li fa divertire, come successe con me”.