TORINO — Alberto Gilardino è il quinto campione del mondo del 2006 sul quale, nel giro di tre mesi, è calata la mannaia dell’esonero, senza contare che a giugno Cannavaro non era stato confermato dall’Udinese e Oddo dal Padova. Camoranesi è durato due giornate al Karmiotissa (Cipro), Pirlo tre alla Sampdoria, Amelia quattro all’Olbia (serie D) come De Rossi alla Roma e ieri è toccata a Gilardino, licenziato dal Genoa in maniera ingenerosa e inspiegabile, visto che stava tenendo la barra dritta nella tempesta dentro cui si dibattendo una società in crisi non a livello tecnico (con una squadra falcidiata da cessioni e infortuni, aveva messo assieme quattro punti nelle ultime due partite) ma societario ed economico. Difatti l’esonero sembra avere ragioni extra-calcistiche. Al posto del Gila è stato scritturato Patrick Vieira: lui pure nella finale di Berlino c’era, ma dall’altra parte. Finora ha allenato, con risultati alterni ma non disprezzabili, New York City, Nizza (dove entrò in conflitto con Balotelli), Crystal Palace e Strasburgo.
Meglio i francesi della finale di Berlino
I vice campioni del mondo stanno dimostrando di essere meglio, in panchina, di chi li batté: Zidane ha vinto tutto il possibile e Henry un argento olimpico, Sagnol sta ottenendo risultati storici con la Georgia. I nostri possono invece vantare al massimo le Coppa Italia di Gattuso (Napoli 2020) e Pirlo (Juventus 2021), due promozioni di Inzaghi, una di Oddo e Grosso e i tre trofei di difficile valutazione (tra cui uno “scudetto”) conquistati da Cannavaro in Cina. Sono niente, in confronto al cumulo di 37 esoneri (inclusa qualche rada dimissione o rescissione) subiti collettivamente dagli eroi di Berlino. Dei quattordici che hanno intrapreso la carriera di allenatore, al momento lavorano soltanto in cinque: l’unico in un campionato importante è Nesta (ma il Monza è ultimo e la sua panchina barcolla), poi ci sono Inzaghi e Grosso che guidano la B con Pisa e Sassuolo, Gattuso che è in testa al campionato croato con l’Hajduk Spalato (ma viene da un pareggio e una sconfitta, ahia) e Barone che fa il vice di Nicola a Cagliari. Camoranesi ha vagato tra Messico, Argentina, Slovenia, Malta e Cipro senza cavare un ragno dal buco, Zambrotta si è arreso da anni dopo un’esperienza in Svizzera e un’altra addirittura in India (con il solito Barone come secondo), Barzagli è stato un po’ nello staff di Sarri alla Juve ma ha capito in fretta che non era la sua strada e così preferisce continuare a produrre vini come anche Materazzi, uno dei sei attualmente fuori dal mondo del calcio: Del Piero e Totti sono bandiere che i loro club non hanno più voluto sventolare, Peruzzi ci ha provato nella Lazio ma non è durata, Toni se la spassa con commenti e spot, Iaquinta (che il patentino da allenatore l’ha preso ma mai utilizzato) è stato travolto dai guai giudiziari suoi e del padre. In pratica, gli unici in qualche modo in carriera sono il dirigente federale Buffon, il sindacalista Perrotta e il procuratore Zaccardo, che nei loro ambiti hanno maturato una certa autorevolezza.
Lippi grande ma non ha fatto scuola
Non è che se ti rompi una gamba da giovane da grande diventerai un bravo ortopedico. diceva di continuo Xabier Azkargorta detto El Bigoton, mitico allenatore basco di stile mazzoniano che nel 1994 portò per la prima volta la Bolivia ai Mondiali: non basta essere stati campioni del mondo per diventare grandi allenatori e neanche aver lavorato con un maestro come Lippi, che avuto seguaci ma non ha fatto scuola. Gilardino era quello che stava facendo la carriera più lineare, più graduale: è partito dalla D (Rezzato e Siena) e poi è salito un gradino per volta. Ha fallito invece chi ha cominciato dall’alto, come Pirlo, e chi da lontano, come Cannavaro (rientrato dalla Cina, non ha funzionato né a Benevento né a Udine). L’irrequieto Gattuso ha avuto grandi opportunità (Milan, Napoli, Marsiglia) e avventure tumultuose (Creta, Sion, Valencia adesso vediamo Spalato) finite sempre nel nulla, Inzaghi è un drago in Serie B (ha fatto benissimo anche quando non ha vinto, come a Brescia e Reggio Calabria) ma poi arriva in A e inciampa. De Rossi sembrava quello con i destini più luminosi, ma in definitiva delle ultime dodici partite ne aveva vinta una appena. È come se i campioni non sapessero essere all’altezza del loro passato, o se il loro passato suggerisce loro di essere già all’altezza a prescindere, inducendoli poi a stupirsi della normalità nella quale, cambiando mestiere, vengono relegati. Forse non è un caso che, fino al licenziamento a ciel sereno di ieri, Gilardino fosse il più alto in grado: si è messo ad allenare dimenticandosi chi era e senza portare in tournée la sua gloria antica, indelebile, non replicabile.