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Gli ultras espressione di poteri criminali: quello del Foggia non è un caso isolato

Il caso del club pugliese è solo l’ultimo di una serie di collusioni tra tifo organizzato e organizzazioni al di fuori della legge

Quello degli ultras non è solo tifo. Non è solo passione. Il calcio, in Italia, è anche campo di battaglia per poteri che operano nell’ombra. E il caso Foggia ne è l’ennesima prova. Una squadra, un presidente, una curva. E dietro, qualcosa di più: una rete di minacce, intimidazioni, una vera e propria campagna estorsiva volta a ottenere la società sportiva a un prezzo di saldo. Non è una sceneggiatura noir. È la cronaca nera che irrompe nella cronaca sportiva.

Ultras del Foggia espressione di criminalità

Secondo quanto accertato dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari e dalla procura nazionale guidata da Gianni Melillo, un gruppo di ultras – non semplici tifosi, ma espressione diretta della criminalità organizzata – avrebbe tentato di piegare la proprietà del Calcio Foggia. Obiettivo: la cessione forzata del club, strumento non solo di visibilità pubblica, ma anche di potere economico e territoriale. E così sono stati ordinati quattro arresti, 52 Daspo e per la prima volta l’amministrazione giudiziaria del club raccontano l’esito di un’indagine che va ben oltre gli spalti.

Quei proiettili contro l’auto del capitano del Foggia

Tutto inizia mesi fa. Il 19 giugno 2023, l’auto del capitano della squadra, Davide Di Pasquale, viene colpita da diversi proiettili. Qualche giorno prima, due bottiglie molotov esplodono davanti alle abitazioni del direttore generale Vincenzo Milillo e del team manager Diego Valente. Episodi che non lasciano spazio a interpretazioni: la pressione esercitata sulla dirigenza ha la firma del metodo mafioso. È intimidazione con scopo preciso: prendere il controllo.

Non solo Foggia, c’è il caso Milano

Eppure, Foggia non è un caso isolato. La criminalità che si insinua nel mondo del calcio, in particolare degli ultras, non ha confini geografici. L’inchiesta “Doppia Curva”, condotta a Milano, ha mostrato come le frange estreme del tifo organizzato possano trasformarsi in terminali di interessi criminali. La curva Nord dell’Inter è stata teatro di lotte interne, omicidi, traffici di droga, gestione parallela di biglietti, parcheggi e merchandising. Al centro, esponenti vicini a clan mafiosi. Lì, come in altri stadi. E la curva Sud del Milan non è da meno. Le curve diventano i due centri di gravità. Due mondi paralleli, spesso in conflitto, ma legati da un destino comune: diventare lo scudo protettivo della ’ndrangheta a Milano. Andrea Beretta, detto “Berro”, capo indiscusso della Nord, trasforma la sua leadership in un trampolino verso l’impero del crimine. Dall’altra parte, Luca Lucci, mente strategica della Sud, stringe patti d’acciaio con i Bellocco, la potente cosca di Rosarno, trapiantata sotto la Madonnina.

L’omicidio di Diabolik a Roma

A Genova, nel 2020, l’operazione “Zona Franca” portò alla luce il tentativo di condizionare le scelte societarie del Genoa attraverso violenze e pressioni da parte di ultras. A Roma, l’omicidio del leader degli Irriducibili, Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, segnò la fine tragica di un personaggio sospeso tra il tifo estremo e il traffico internazionale di stupefacenti. A Verona, nel 2023, dodici ultras dell’Hellas furono arrestati per spaccio di droga direttamente dentro lo stadio e nel bar attiguo.

I bilanci fragili favoriscono la criminalità

Quello che emerge è un pattern. La curva come punto di ingresso per affari illeciti. Non più solo cori e striscioni, ma estorsioni, controllo territoriale, affari milionari. E dietro, clan, cosche, gruppi organizzati. Il calcio come strumento di riciclaggio, consenso e dominio sociale. A rendere ancora più fragile il sistema è la situazione economica di molte società. La pandemia ha fiaccato bilanci già instabili. E quando arrivano difficoltà, le organizzazioni criminali si fanno avanti. Offrono “soluzioni”, prestiti, supporto. Ma chiedono in cambio silenzio, obbedienza e spazio. È il modello dell’infiltrazione morbida. Prima le curve, poi i consigli d’amministrazione.

L’allarme già lanciato 8 anni fa

Già nel 2017, la Commissione Parlamentare Antimafia aveva lanciato l’allarme: il calcio italiano è vulnerabile. Troppi contanti, troppa opacità nei trasferimenti, troppi margini di manovra per chi vuole usare i club come lavanderie o piattaforme di influenza. La Sport Integrity Global Alliance lo ha ribadito: il rischio criminale nello sport è una realtà concreta, e non riguarda solo Serie A e Champions League. Il caso Foggia è emblematico perché mostra come la pressione possa diventare violenza, e la passione, paura. Ma è anche un segnale: le istituzioni stanno reagendo. Le misure adottate dalla magistratura sono un argine, una difesa. Perché il calcio non può essere lasciato in mano a chi usa la maglia come paravento. Oggi la partita più importante si gioca fuori dal campo. Riguarda chi comanda davvero nei club, chi gestisce le curve, chi sfrutta lo sport per fare affari. È una partita che non ammette pareggi. Perché in gioco non c’è solo il futuro di una squadra. Ma la credibilità di un intero sistema.

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