La notorietà di Helmut Duckadam, morto a 65 anni, è legata a una notte di maggio del 1986. Era il portiere della Steaua Bucarest, che si era qualificata per la finale della Coppa dei Campioni contro il Barcellona. Una impresa impossibile, anche perché quella finale si giocò in territorio spagnolo contro una squadra che, pur non essendo quella che parecchi anni dopo fece faville con Guardiola, si presentava nettamente favorita per vincere finalmente il primo titolo di campione d’Europa. Per i romeni fu un appuntamento non solo con la storia, ma dentro la storia. Da poco infatti si era verificato l’incidente nucleare di Chernobyl, e i giocatori della Steaua, dopo aver osservato due settimane di stop, furono costretti a riprendere gli allenamenti con un tasso di radiazioni 200 volte superiore a qujello consentito.
L’eroe della finale di Siviglia, parò tutti i rigori al Barcellona
In Spagna poi, i romeni seppero sfruttare l’ansia degli spagnoli, impostando una partita molto tattica senza prendere troppi rischi e riuscendo nell’intento di arrivare al 120’ sullo 0-0. Si andò quindi alla serie dei rigori, con Duckadam che ipnotizzò gli avversari parandoglieli tutti. La sua carriera breve quanto straordinariamente sfolgorante, finì però poco dopo quella notte di Siviglia. Ebbe infatti dei problemi molto seri a una arteria, cosa che gli creò la perdita di sensibilità a un braccio.
La storia dei figli di Ceau?escu
La cosa fece sorgere illazioni di tutti tipi. Secondo la più eclatante, il presidente del Real Madrid (si disse addirittura il Re Juan Carlos) gli aveva regalato una Mercedes per ringraziarlo di aver inflitto una tremenda delusione all’odiato Barcellona. Si disse che uno figli del dittatore romeno Nicolae Ceau?escu, in un impeto d’ira e di gelosia per quel regalo, gli aveva sparato a un braccio. Lo stesso Duckadam, interpellato anni più tardi sull’accaduto, smentì categoricamente tutto scherzando: “Quella Mercedes la sto ancora aspettando”. Negli ultimi anni aveva sofferto di diversi problemi di salute, tanto da sottoporsi ben nove volte a interventi al cuore.