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Hojlund: “Nel nuoto ero un bimbo da record. Ronaldo il mio modello, a Napoli per fare tanti gol”

Intervista all’attaccante danese, tornato in Italia dopo due stagioni al Manchester United: “A 22 anni ho già un bel po’ di esperienze alle mie spalle. Ma adesso sono a Napoli e conto di fermarmi”

NAPOLI – Sliding doors. “In piscina da bambino nuotavo forte, feci il record di categoria nello stile libero. Quando ho smesso, il mio allenatore mi supplicò di tornare: era convinto che sarei diventato un professionista». Invece Rasmus Hojlund scelse di seguire le orme di papà Anders, calciatore semi-pro. «La mia è una famiglia di sportivi, mamma correva nella nazionale di atletica, io ho giocato anche a tennis. Ho due fratelli nelle giovanili di Eintracht e Schalke 04, sono gemelli. Il pallone è entrato nella mia vita a tre anni, a 14 ho capito che ero un attaccante. Mio padre è stato un insegnante severo, mi ha aiutato molto».

Qual è il suo primo ricordo?«Non ho una buona memoria ma se chiudo gli occhi mi rivedo in macchina con papà che mi critica dopo una brutta partita, mentre torniamo a casa: “Devi dare di più se vuoi davvero diventare un professionista”. Quasi mai mi diceva “bravo Rasmus”. Il tempo gli ha dato ragione: non mi sento infatti ancora un centravanti completo nemmeno adesso, anche se di anni ne ho 22 e gioco nel Napoli».

Le è mancata la serie A?«È sempre come la ricordavo dalla stagione con l’Atalanta, qui il calcio è molto tattico, ci sono tanti duelli uomo contro uomo. In Premier invece il ritmo è un po’ più alto: tutti sono veloci, forti ed esplosivi fisicamente. Ecco, se devo indicare una differenza tra i due campionati è proprio questa».

Bergamo, poi due stagioni a Manchester, adesso Napoli: la sua è una vita da globetrotter.«Prima avevo giocato anche in Austria, dopo aver lasciato da piccolo la Danimarca. A 22 anni ho già un bel po’ di esperienze alle mie spalle. Ma adesso sono a Napoli e conto di fermarmi».

Cosa vede nel presente e futuro della sua carriera?«Voglio diventare un attaccante che segna tanti gol. Negli ultimi anni sono migliorato molto nel mio ruolo e penso di avere già delle qualità, ma ho ancora tante cose da imparare».

Il suo modello è Cristiano Ronaldo: ambizioso.«Non è per presunzione, nella mia carriera non mi sono mai sentito il più talentuoso del gruppo, anche se per giocare nello United o nel Napoli devi essere un attaccante di un certo livello. Ma io ho sempre dovuto lavorare più duramente di altri e ne sono consapevole. Ecco perché Cristiano è il mio idolo: lui vuole sempre migliorarsi e si impegna per diventare più bravo».

CR7 è il suo preferito. E poi?«A livello mondiale i più forti per me sono Cristiano Ronaldo, Haaland, Lewandowski, Gyökeres. In A invece scelgo Lukaku, Vlahovic, Lautaro Martinez e poi ci sono io, Rasmus».

Nell’élite mondiale dei cannonieri ci sono tanti attaccanti scandinavi, come se lo spiega?«Le doti fisiche le abbiamo sempre avute per natura e oggi la fisicità è sempre più importante per questo ruolo. Poi negli ultimi 20 anni abbiamo creato delle eccellenti accademie, che formano tanti ottimi giocatori, specie in attacco: ho detto di Haaland e Gyökeres ma ci sono anche Sørloth, Isak, Harder. Il lavoro paga sempre, guardate le nazionali scandinave, sono tutte ad alto livello».

Cos’è il calcio per lei?«Passione. Voglia di vincere, per me sempre uno stimolo fondamentale. Il piacere di condividere il percorso con compagni, tecnico, club, staff e tifosi. Ma bisogna soprattutto continuare a divertirsi. È il vero motivo per cui si comincia a giocare a pallone e a questo livello capita spesso di dimenticarsene, purtroppo…».

A lei invece è successo di dimenticare la lingua italiana, nei due anni trascorsi a Manchester…«È così, con la vostra lingua ho perso un po’ di dimestichezza, specialmente quando devo parlarla. Ma in campo capisco più o meno tutto ed è questa la cosa più importante».

Come va con negli allenamenti con Antonio Conte?«Lui sa che devo migliorare il mio italiano e me lo chiede in continuazione. “È chiaro? È chiaro?”: sono le parole che usa più spesso con me. Io gli rispondo sempre di sì, ma se ho un dubbio chiedo ai compagni».

A proposito di compagni: quanto è difficile sostituire Lukaku?«Non tocca solo a me, nel Napoli ci sono anche altri attaccanti bravi come Lucca e Ambrosino. E aspettiamo con ansia il ritorno di Lukaku, da lui abbiamo tutti da imparare».

Intanto il Napoli è partito con quattro vittorie in campionato. Dove possono arrivare la squadra e Hojlund?«Io spero di fare tanti gol e assist, per aiutare i miei compagni. Dobbiamo migliorare sempre, ma stando concentrati su una partita alla volta».

Domenica c’è il Milan, sa che in estate sul mercato l’avevano cercata anche i rossoneri?«So solamente che sono felice dove sono: qui a Napoli».

Che sfida sarà a San Siro?«Molto importante: affronteremo una squadra davvero forte, che sembra stia giocando bene con il suo nuovo allenatore. Ma andremo lì per cercare di ottenere il massimo. Scendere in campo con lo scudetto sulla maglia è una responsabilità, oltre che un privilegio».

A Napoli è la sua prima esperienza al Sud…«Qui c’è una cultura calcistica speciale, l’ho avvertita subito quando sono venuto a Napoli per la prima volta da avversario, con l’Atalanta. I tifosi erano pazzi e molto appassionati, questo li rende diversi dagli altri. La città poi è veramente bella, come il clima. Ma ho soprattutto trovato un ambiente familiare, quello di cui avevo bisogno adesso nella mia carriera. Il mio piano è ambientarmi e farmi accettare».

Napoli sa essere superstiziosa, anche Hojlund ha qualche rituale?«Prima di entrare in campo guardo le stelle e prego, per chiedere l’aiuto di mia nonna Bodil. Lei è scomparsa sei anni fa. Invoco la sua guida e anche un po’ di fortuna».

Com’è stato debuttare nello stadio intitolato a Maradona?«Speciale. Maradona è stato tra i più grandi calciatori di sempre e capisco che abbia un posto enorme nel cuore dei napoletani. Sono onorato di giocare nel suo stadio».

A Napoli ha ritrovato McTominay, suo ex compagno al Manchester United.«Nella vita è sempre il solito Scott: bravissimo ragazzo, simpatico. Ma in campo è cresciuto moltissimo, giocando in Italia. Il mio obiettivo è ripetere il suo percorso».

Provi per un attimo a immaginare la sua vita senza il calcio, Hojlund…«Studiavo marketing, magari a fine carriera ricomincio. Ma ho sempre avuto in testa solamente il pallone, con l’obiettivo di diventare un calciatore professionista. La mia vita è soprattutto in campo. Quella privata? Ho una fidanzata, che per adesso vive a Manchester. Non ho ancora dei tatuaggi, non li considero per il momento una priorità, però mai dire mai. Porto a spasso il mio cane Nele e nel mio tempo libero ci sono pure i videogiochi».

Libri ne legge?«Ogni tanto, adesso mi tocca riaprirli per riprendere confidenza con la vostra lingua. La prossima intervista la facciamo in italiano, promesso».

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