La “remuntada” frustrata dall’Inter di José Mourinho nella semifinale di ritorno della Champions League 2009-2010 rimarrà per sempre nei ricordi dei tifosi italiani e, in particolar modo, di quelli nerazzurri. Quello era il Barcellona più forte della storia, con Pep Guardiola in panchina e in campo tre fenomeni venuti fuori dalla cantera blaugrana – Lionel Messi, Xavi Hernández e Andrés Iniesta – che alla fine dell’anno avrebbero occupato i tre gradini del podio del Pallone d’Oro. Tra i catalani, l’unico superstite di quella eliminatoria siede sulla poltrona più importante della società nonostante, 19 giorni dopo la sfida contro l’Inter, Joan Laporta diede per conclusa, tra le polemiche, la sua prima avventura alla guida del més que un club.
Il costo del cartellino di Neymar
Ebbene, secondo i suoi sostenitori, i guai attuali del Barcellona cominciarono proprio quel 17 maggio 2010, nonostante alla fine della stagione successiva Messi e compagni riconquistarono lo scettro di campioni d’Europa umiliando il Manchester United grazie a una vera e propria esibizione di fútbol. Una lezione che lo stesso sir Alex Ferguson definì magistrale. Quattro anni dopo, inoltre, il Barça di Luis Enrique e del tridente più forte del calcio moderno – la MSN, formata da Messi, Suárez e Neymar –conquistò il secondo Triplete della sua storia. Tuttavia, in quel momento, i problemi erano già cominciati. Ancora oggi non è facile stabilire con esattezza la quantità esatta del costo del cartellino di Neymar Junior: una cifra, inizialmente, fissata da Sandro Rosell a quota 17 milioni, ma che con il passare degli anni è lievitata fino a raggiungere la soglia delle tre cifre. Due anni dopo, lo stesso presidente Rosell, ex numero due di Joan Laporta e poi suo più acerrimo nemico, finì in carcere con l’accusa di riciclaggio e organizzazione criminale e ci rimase per quasi due anni prima di essere assolto da tutte le imputazioni.
Bartomeu e la gestione dei 222 milioni di Neymar
Nel frattempo, sul ponte di comando era salito, ad interim, Josep Maria Bartomeu, il braccio destro di Rosell che, in realtà, sarebbe dovuto rimanere in sella per pochi mesi. Poi, però, il Barça di Lucho e della MSN vinse il Triplete e lui trionfò alle elezioni, battendo tutti i record di consenso. Ebbene, oggi, è opinione abbastanza condivisa e accettata che Bartomeu sia stato il peggiore presidente della storia del Barcellona. La sua conduzione è stata nefasta sotto tutti i punti di vista, a cominciare dall’irresponsabile gestione dei 222 milioni incassati, suo malgrado, dal Paris Saint Germain, quando Nasser Al Khelaifi decise di portare Neymar al Parco dei Principi pagando la sua clausola di rescissione. Nei due anni successivi, Bartomeu ne spese oltre 400 per provare a sostituirlo, ma fu tutto inutile: Philippe Coutinho, Ousmane Dembélé e Antoine Griezmann non lasciarono il segno in riva al Mediterraneo, fatta eccezione per quello, negativo, lasciato nelle casse blaugrana.
Nel famoso burofax inviato nell’estate del 2020, in cui chiedeva di essere ceduto, Lionel Messi si lamentava proprio dei “giochi di prestigio” di Bartomeu che, però, gli disse di “no” perché non voleva passare alla storia come “il presidente che lasciò andar via il calciatore più forte della storia”. Come se quello che stava facendo non fosse ben più grave…
Il colpo finale del Covid
E così, mentre Bartomeu assicurava che il Barcellona sarebbe stato il primo club a “superare il miliardo di fatturato”, il Covid fece la sua irruzione in Europa con le conseguenze che tutti conosciamo sia sotto l’aspetto medico-sanitario che economico. E fu proprio quando si cominciò a calcolare l’impatto del coronavirus sui bilanci dei club che, mentre il Real Madrid dimostrò di essere stato in grado di tenergli botta, il castello di carte costruito intorno al Barça crollò definitivamente, portando il club blaugrana sull’orlo – e, forse, anche un po’ più in là – del crack finanziario. Ed è in questo contesto che Joan Laporta rispolverò elmo e scudo presentandosi alle elezioni come il salvatore della patria blaugrana nonché “unico candidato in grado di convincere Messi a restare a Barcellona”. A marzo del 2021 l’istrionico avvocato catalano cominciò ad affrontare la “remuntada” più difficile della sua carriera di presidente. Talmente difficile che, pochi mesi dopo averne assicurato la continuità, diede il benservito allo stesso Messi perché si rese conto di aver fatto una promessa che non poteva mantenere. Come molte altre: “Sapevo che la situazione fosse grave, ma non immaginavo tanto”.
La causa con Aguero
Tirando una coperta troppo corta, prima, da un lato e, poi, dall’altro, Laporta è, di fatto, riuscito a riportare a galla il club, sebbene non siano pochi i suoi detrattori, quelli che gli rinfacciano una gestione dittatoriale e per nulla limpida di quello che, almeno in teoria, si vanta di essere il club sportivo più democratico e trasparente del pianeta. Prova ne sia il documento inviato ai propri soci pochi giorni fa e definito da The Athletic “un rapporto sulla gestione”, un riepilogo della situazione alla fine dell’anno finanziario 2023-2024. E così, si è scoperto che il Barça ha una causa pendente con il Kun Aguero che reclama 3 milioni di euro, un’altra con Gaby Milito per 6,9 milioni e, infine, una con un intermediario che assicura di non essere stato pagato per il lavoro svolto durante l’operazione che ha portato Ousmane Dembélé al Psg per 50 milioni. A quanto ammonta la sua fattura? 10 milioni.
Il progetto Superlega portato avanti
Nel ‘foglietto illustrativo’ trovano spazio anche le altre vertenze che pendono sul club: dal Barçagate (la campagna diffamatoria che sarebbe stata orchestrata da Bartomeu e i suoi sodali per danneggiare l’immagine di Messi, Guardiola e tutte le altre leggende del club che criticavano pubblicamente la sua gestione) all’altrettanto celeberrimo Caso Negreira (che divideva il suo tempo tra la vicepresidenza degli arbitri e le consulenze per il Barça), senza omettere che i costi e le spese legali sostenuti sinora per portare avanti il progetto della Superlega ammontano a 2,6 milioni di euro. Per quanto riguarda, invece, i rapporti con gli altri club, i catalani sono creditori di 23 milioni relativi alla cessione di calciatori i cui costi dei cartellini non sono ancora stati saldati, ma per lo stesso motivo ne devono 147. Infine, al capitolo ingaggi spalmati e progressivi, Joan Laporta comunica orgogliosamente ai propri soci che quello che nel 2022 era un debito pari a 59,7 milioni, oggi è diminuito fino a quota 43,1. Insomma, sebbene il passo sia tutt’altro che incalzante, quantomeno, su questo fronte, il cammino intrapreso sembra essere quello giusto. Un po’ come la “buona notizia” di Report. Voce autorevole contraria è quella di Victor Font, l’antagonista a Laporta nella corsa alla presidenza, chiede di non votare il bilancio dando la propria spiegazione. “Chiedo ai soci di votare no all’approvazione del bilancio. Ci sono ancora gli stessi tic che hanno caratterizzato il mandato di Bartomeu. Non sanno gestire l’immensa capacità di cui dispone il Barça e per questa ragione ci mentono raccontandoci storielle. Negli ultimi quattro anni abbiamo speso 1.041 milioni di euro in più di quanto abbiamo guadagnato”.