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Enzo Maresca, lo scacchista che studia Guardiola e sa vincere in contropiede

L’allenatore di Salerno, che ha guidato il Chelsea alla vittoria del Mondiale per club, ha passato mezza carriera all’estero, però resta un seguace nella nostra scuola nonostante le bocciature di Ascoli e Parma. Ha la flessibilità tattica degli italianisti ma il coraggio di lanciare i giovani. Il suo vero mentore è Manuel Pellegrini

Enzo Maresca, che ha guidato il Chelsea alla vittoria del Mondiale per club battendo in finale il Psg, è il più insolito degli allenatori italiani, ma non perché ha fatto scuola da Guardiola e, prima di lui, dal cileno Manuel Pellegrini, il suo vero mentore. Lo è perché ha sempre avuto il coraggio di rischiare, di buttarsi, di scegliere strade insolite e lontano dal nostro conservatorismo: a 18 anni preferì andarsene al West Bromwich, nella seconda serie inglese, pur di non aspettare un’occasione che da noi, dove tutti sono considerati eterni giovani, chissà quando gli avrebbero dato (è cresciuto nei vivai del Milan e poi del Cagliari). E anche dopo essere rientrato in Italia, reimportato alla Juventus, resistette poco. Scalpitava, era stufo di girovagare tra prestiti e comproprietà, di aspettare che qualcuno si fidasse di lui, che smettessero di considerarlo sempre troppo giovane (l’ultimo fu Capello).

Dal Siviglia al Chelsea, più di mezza carriera all’estero

Così ha passato più tempo altrove (Siviglia, Malaga, Olympiacos) che in Italia, ha imparato le lingue e soprattutto la sfrontatezza, ha vinto molto sia da giocatore sia da tecnico (già tre titoli i due anni), è diventato un leader e soprattutto ha capito quale fosse la sua strada: gliela indicò Pellegrini, suo tecnico al Malaga, il primo a dirgli di prepararsi a diventare allenatore, perché è in quel campo che avrebbe avuto successo: qualche anno più tardi lo volle con sé, come primo collaboratore, al West Ham. Maresca ha battuto Pellegrini nell’ultima finale di Conference tra Chelsea e Betis Siviglia. Il cileno, in fondo, non ci è rimasto nemmeno troppo male.

Il vero esordio all’Ascoli, nel 2017

L’esperienza formativa di Maresca è stata al City, prima nelle giovanili e poi come assistente di Guardiola, che ha sempre visto in lui un suo possibile successore, o meglio ancora un suo possibile antagonista: “Ha le stesse qualità che avevo notato in Arteta”, un’altra spalla di Pep che ha fatto strada. I più ricordano che la prima esperienza fallimentare da allenatore capo Maresca l’ebbe a Parma nel 2021, in serie B, dove durò tredici partite e venne cacciato che era in zona retrocessione, ma in realtà ci aveva già provato nel 2017 ad Ascoli: formalmente era il vice di Fiorin ma in realtà il titolare era lui, solo che non poteva esserlo ufficialmente visto che ancora non aveva il patentino. Lo ottenne poi a settembre, a novembre lasciò dopo quattro sconfitte consecutive ma nel frattempo la sua tesi sulle analogie tra il calcio e gli scacchi divenne cult, tra gli studiosi di calcio.

Il Chelsea del Mondiale

Maresca ha infatti studiato da Guardiola, ma non è uguale a lui. Certe utopie giovanili, che è riuscito a tradurre nelle sue inimitabili visioni calcistiche (Pep lo si può studiare ma non lo si può imparare), le ha assecondate per un po’ ma poi le ha modulate attraverso il suo dna italico. A Parma, per dire, era un intransigente offensivista, mentre il Mondiale l’ha vinto studiando prima di tutto una sofisticatissima tattica difensiva, cui il Psg, che si aspettava una partita a viso aperto, senza trappole, non era minimamente preparato. Rispetto a qualsiasi allenatore italiano non ha nessuna remora ad affidarsi ai giovani e ha spesso criticato il nostro conservatorismo (“A Parma facevo giocare dei ragazzi che vengono chiamati giovani ancora oggi”).

Da Joao Pedro al sistema Maresca

Ha vinto il Mondiale con una squadra dall’età media di 24 anni e mezzo, in rosa non ha nessuno che abbia più di 26 anni, ha un occhio di riguardo per i ragazzi del vivaio e non ha avuto remore a falcidiare una rosa di 45 elementi (il Chelsea è un monumento allo spreco, compra in maniera bulimica calciatori strapagati di cui non sa che farsene), a dimezzarla e poi ancora a dividerla in due (una squadra giocava la Champions, un’altra la Conference) per sfruttarne fino in fondo le potenzialità, anche se poi il Mondiale lo ha vinto anche grazie a un acquisto in corsa, il centravanti Joao Pedro (tre gol tra semifinale e finale), arrivato il 2 luglio dal Brighton per 70 milioni e spedito in campo quattro giorni dopo. La settimana prima stava in spiaggia a fare le ferie.

Maresca senza dogmi

Il Maresca “straniero”, quello del coraggio e della fiducia nei giovani, s’è dunque mescolato con quello “italiano”, quello che pensa alla tattica, alla strategia, a fare imboscate all’avversario e non soltanto a sopravanzarlo con la superiorità del gioco e delle idee, che è invece il mantra di Guardiola. Nella finale con il Psg, in estrema sintesi e semplificando il tutto, ha vinto cedendo il possesso palla e tenendosi il contropiede, lui che invece non rinuncia, se può, al possesso e alla costruzione dal basso (a un suo portiere, Hermansen, che regalò un gol per un passaggio sbagliato, disse: “Se nel secondo tempo avrai paura e ti metterai a lanciare lungo, ti sostituirò”). Ma sa che non sempre può, e il primo gol al Psg è nato da un lancione di settanta metri del portiere Sanchez al terzino d’assalto Malo Gusto.

Maresca e l’importanza degli scacchi

Sono gli scacchi che glielo insegnano: non c’è un solo modo per attaccare, non c’è un solo modo per difendere e lui è su questo che s’è scervellato durante i suoi studi, anche mentre sbirciava Pellegrini e Guardiola: “Un allenatore può solo trarre beneficio dall’acquisire la mente di un buon giocatore di scacchi”, spiegò in passato, “perché aiuta l’acquisizione della destrezza per ideare tattiche e strategie, il miglioramento della creatività e facilita la concentrazione. Gli scacchi ti insegnano a controllare l’eccitazione iniziale quando vedi qualcosa di bello e ti allenano a pensare in modo obiettivo quando ti vedi in pericolo”.

Gli hanno dato quella flessibilità mentale che invece talvolta manca ai grandi guru della panchina, come a Luis Enrique a cui ha appena fatto scacco matto, o a Pep, che però in quest’ultima stagione ha imparato qualcosa che non sapeva e che Maresca ha subito sottolineato: “Dopo la prima parte disastrosa della stagione, ha saputo rimettere in carreggiata il City e conquistare il terzo posto correggendo qualcosa, perché si è reso conto che l’equilibrio è importante”. È questo l’italianismo che ci piace, l’italianismo che sa diventare campione del mondo.

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