TORINO – La prima sfida la lancerà domenica la Fiorentina, che dopo la partita contro l’Inter – che era e resta la formazione più attrezzata per vincere lo scudetto – saprà se avrà scavalcato o no quella linea neanche tanto sottile che separa l’outsider dalla pretendente: se la Viola vincesse, o se anche solo pareggiasse dimostrandosi all’altezza, passerebbe ipso facto da un campo all’altro, iscrivendosi a pieno titolo alla corsa al titolo anche se il campionato ha appena coperto un terzo del suo cammino.
La sfida a Inter, Napoli e Juventus
Il tema, in queste settimane, è proprio la sfida delle antagoniste alternative. L’Inter tutti se la aspettavano lì (anzi, anche un po’ più un alto) per via dell’evidente superiorità della sua rosa, il Napoli pure, per il mercato che ha fatto e perché Conte senza coppe è un macinatore di campionati, e la Juve naturalmente anche, per censo, storia, diritto e per la lussuosa campagna acquisti estiva. Avrebbero dovuto esserci, se non proprio lì vicino almeno non così lontano, anche il Milan e la Roma: un pietoso velo.
Gasperini sembrava alla fine del ciclo, invece ne sta cominciando un altro
Fiorentina e Lazio invece non se le aspettava nessuno, e l’Atalanta in pochi. Però i fatti stanno dimostrando che ci possono stare, che ci possono sperare, specie i bergamaschi che, oltre che in serie A, stanno mietendo successi e consensi anche in Champions. Si poteva supporre che la conquista dell’Europa League nel maggio scorso avrebbe in qualche modo chiuso un ciclo, se non addirittura un’epoca che a Dublino aveva toccato il suo punto più glorioso, e che da quel trionfo l’Atalanta avrebbe dovuto partire arretrando di qualche posizione. Infatti sono affiorati i mal di pancia (passeggero quello di Lookman, inguaribile quello di Koopmeiners, che chissà se si è pentito di tutti i capricci fatti pur di andar via), altri giocatori potevano sembrare appagati (Ederson, Djimsiti) o usurati (De Roon, Zappacosta, Kolasinac). E lo stesso Gasperini, dopo anni (nove, addirittura) di calcio faticoso e di discussioni con i Percassi, avrebbe potuto alzare il piede dall’acceleratore delle motivazioni. In effetti l’avvio di campionato, con la sconfitta in casa del Toro, la batosta presa dall’Inter e il ruzzolone casalingo con il Como, lasciavano intravedere uno scenario da fine impero. Invece ne è venuta fuori l’Atalanta più bella e forte dell’era gasperiniana, con sette vittorie di fila, la marcia sicura in Champions e una consapevolezza di sé sempre più piena, completa. A Bergamo adesso parlano di scudetto non a vanvera. Sono la sorpresa meno sorprendente.
La Lazio comincia un mese decisivo
Al contrario, lo stupore più grande lo sta generando la Lazio, lei sì davvero reduce da un ciclo finito e da un’annata, cominciata in Champions League e finita con il terzo allenatore diverso, di irreversibile declino. Lotito e Fabiani sono stati bravissimi a ripartire con umiltà e coraggio infischiandosene dei malumori della piazza e del vuoto lasciato da tre monumenti come Immobile, Luis Alberto e Felipe Anderson (ma mettiamoci anche Cataldi): hanno badato al sodo, prendendo un allenatore poco glamour, ma che erano anni che dimostrava di meritare un’occasione del genere, e giocatori interessanti, in larga parte ancora inespressi. La Lazio ha ingranato da subito (anche in Europa League) e adesso sta dimostrando di essere all’altezza delle ambizioni più sfrenate perché ha facilità di gioco e padronanza di sé. Negli scontri diretti non è andata bene ma è stata molto sfortunata, specie nelle sconfitte immeritate e casuali in casa di Fiorentina e Juventus, dove almeno il pareggio lo avrebbe meritato (a Firenze anche di più). Per capire dove potrà arrivare, basta aspettare un mesetto: prima che il 2024 finisca, la squadra di Baroni incontrerà Napoli (in trasferta), Inter e Atalanta (all’Olimpico). E l’anno nuovo comincerà con il derby: per la Befana, i laziali sapranno a cosa avrà diritto di puntare.
L’evoluzione di Palladino
La Fiorentina, si diceva, avrà delle indicazioni precise già domenica contro l’Inter. La sua evoluzione finora è stata particolare: Palladino è partito con un modulo, si è impantanato, lo ha cambiato, ha avuto tre acquisti determinanti in extremis (Adli, Cataldi e Bove) e ha preso a volare. Ci sono giocatori che non sembrano neanche lontani parenti di quelli della stagione passata, come Dodô, Bove, Beltran e soprattutto Kean. Un anno fa De Gea nemmeno giocava, mentre oggi è il miglior portiere del torneo, così come Comuzzo è il difensore giovane più interessante. L’avvio titubante è stato spazzato via da un’infilata di sette vittorie consecutive, non tutte brillanti ma tutte costruite con pazienza. E se all’inizio sembrava che il feeling con Firenze potesse non scattare (il suo pupillo, Colpani, era il giocatore più deludente), adesso il secondo allenatore più giovane del campionato dopo Fabregas è perfettamente padrone della situazione. Rispetto al triennio di Italiano, la società sembra puntare più sul campionato che sulla Conference. Ci sono margini di miglioramento perché Gudmundsson, una volta guarito, può far salire di livello la squadra.
Per Atalanta, Lazio e Fiorentina è il momento della regolarità
Atalanta, Lazio e Fiorentina si sono agganciate al carro di testa grazie a una sfilza eccellente di risultati positivi, quasi tutte vittorie: ecco, serie così lunghe sono spesso un’anomalia e nell’ambito di uno stesso campionato sono difficilmente ripetibili, per cui la misura del valore delle outsider cominceremo a prenderla adesso che il cammino assumerà una sua regolarità. Poi, come tutti sanno, sarà a marzo che si capirà con certezza chi potrà lottare per lo scudetto, chi per un posto in Champions e chi nemmeno per quello: l’attesa non sarà snervante, visto com’è godibile questo campionato in magnifico equilibrio tra favorite e pretendenti.