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Il calcio e il bonus narrativo che si richiede agli altri sport

La rubrica “È sempre domenica”

Oggi, domenica, è l’ultimo giorno di vacanza. Lunedì si ricomincia. Come quando ad agosto, al mare, l’estate si rompeva, esistevano ancora le piogge e si tornava a casa. Riassorbiti dall’ossessione del lavoro, della vita feriale. Succede ogni anno, ma ogni quattro l’evidenza è sottolineata: il calcio si prende tutto, il resto è cenere nel braciere di uno stadio, in una città che diventa cronologia nel gps dell’attenzione mondiale. L’Olimpiade marca la sproporzione che si è creata tra il calcio e le altre discipline. Il New York Times ha addirittura scritto che per reggere in tv al primo basta essere uno sport, al resto tocca trasformarsi in “evento”. In generale, direi, in una “storia”. O in una polemica che possa dividere destra e sinistra, Trump e la ragione.

L’abbiamo appena visto: il pugilato è la discussione sul sesso di un’atleta (l’apostrofo è la quota rosa tra due parole); la pallanuoto è una colossale ingiustizia contro cui, come spesso, si schiera anche chi non l’ha patita e neppure capita; la pallavolo è la seconda possibilità concessa a un filosofo (e con lui a noi tutti) di inseguire un sogno sfumato in gioventù (e se non si realizzasse ci resterà soltanto la filosofia).

Per appassionare serve un bonus narrativo. Barcellona-Milan (ma anche Solbiatese-Juve Stabia) si fruiscono in sé e per sé. Nessuno si sognerebbe di dire che a una squadra di calcio in campo “basta esserci”. Il quarto posto in campionato era una delusione così innegabile che per rivalutarlo si è dovuto premiarlo con un’esagerazione, come regalare un viaggio in tutta Europa a uno studente che ha preso la maturità con il minimo dei voti. Se un calciatore sbaglia il rigore decisivo se ne parla ancora dopo trent’anni e l’unico a perdonare è lui stesso. Altroché medaglia virtuale o “però il futuro sarà suo”.

Si torna al presente, all’illusione ogni anno più striminzita del calciomercato: pacchi riciclati sotto l’albero di “è sempre Natale”, se ci credi (“Wow! Morata!”). E se fosse solo un pacco, affari tuoi. Il vero Dream Team non lo fornisce la Nba, ma la fantasia giornalistica che compone la formazione prossima e ideale a disposizione di Motta o Conte. La Terra sembrerà ruotare indifferente, ma non provate a dire a un tassista romano assorbito da una radio del tifo: «Scusi, ma se ’sto Soulé è un fenomeno, perché la Juve l’ha venduto?». Scontrandosi col dubbio inchioderà all’incrocio, tutta la città tratterrà il respiro al bivio tra sciagura e sollievo e ci vorrà una impercettibile correzione dell’asse prima che la palla riprenda a girare.

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