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Il calcio verticale di Conceiçao: “Milan, per tornare a vincere servono cuore caldo e testa fresca”

Il nuovo allenatore dei rossoneri debutterà venerdì con la Juventus contro suo figlio

Sergio Conceiçao è quanto di più lontano ci sia dalle ultime due generazioni di allenatori portoghesi, che includono Fonseca e hanno espresso il meglio con Amorim. Ha piuttosto qualcosa di Mourinho, anche se in realtà il collega cui più somiglia è senza ombra di dubbio Simeone. Come il Cholo, ama allestire squadre rognose, compatte, verticali, dallo spirito forte e sostanzialmente diverse dallo stile predominante nella Liga spagnola e portoghese. Come il Cholo, è una figura centrale del club: nel Porto ha lavorato per sette anni, andandosene, non senza una scia polemica, soltanto quando il controverso e storico presidente Pinto Da Costa è stato sconfitto alle elezioni da Villas-Boas, proprio uno di quelli che, da allenatore, aveva lanciato la nouvelle vague lusitana. E come il Cholo ha pure lui tre figli calciatori (il quarto ci è arrivato vicino): il più bravo è lo juventino Chico, che sfiderà a Riad nel suo debutto ufficiale sulla panchina milanista, il primogenito è l’omonimo Sergio, terzino dell’Anorthosis, a Cipro, e quello di mezzo è Rodrigo, difensore pure lui, che gioca nello Zurigo ma che ha fatto anche un anno con papà al Porto. È la famiglia di un uomo che perse il padre a 16 anni (morì in un incidente con la moto il giorno dopo che Sergio fu preso dal Porto) e la madre, da tempo sulla sedia a rotelle, a 18.

La carriera di Conceiçao

Anche da calciatore Conceiçao era un’anima in tempesta (in Portogallo era soprannominato twister, tornado). La classe fine s’è spesso mescolata con un carattere ardente e questo l’ha portato ad avere alti (alla Lazio, altissimi) e bassi (il biennio interista non è ricordato con entusiasmo dai tifosi nerazzurri) e poi a girovagare tra Belgio, Qatar e Grecia. Proprio in Belgio il suo carattere ha tempestato al massimo: quando giocava nello Standard si beccò quattro mesi e mezzo di squalifica perché sputò a un avversario, tirò la maglia addosso all’arbitro che l’aveva espulso e fece un gestaccio ai tifosi. Da allenatore, fiamme e idee è riuscito a farle convivere meravigliosamente, in linea con la sua prima dichiarazione milanista: «L’emozione è momentanea perché dobbiamo lavorare. Per vincere le partite bisogna avere cuore caldo e testa fresca». A Porto aveva costruito una squadra a sua somiglianza, di carattere e irriducibile, dura da scalfire ma anche sfacciata e forte nel più sfacciato dei fondamentali: il dribbling. Anche in questo è molto cholista, anche se nel rapporto tra Simeone e il suo popolo di giocatori e tifosi c’è qualcosa di trascendente, quasi di mistico, mentre lo spigoloso Conceiçao i suoi conflitti li ha avuti. D’altronde il Porto, con cui ha vinto 11 titoli e raggiunto due volte i quarti di Champions, non è l’Atletico ma un club di transito, dove i giocatori arrivano (dal vivaio o da lontano), meravigliano e vengono venduti a peso d’oro: nel suo settennato, tra Otavio, Diaz, Militão, Vitinha, Fabio e André Silva, Evanilson e Vieira ha fatto incassare al club più di 350 milioni.

Il nuovo Milan di Conceiçao

I canoni di gioco di Conceiçao sono molto diversi da quelli di Fonseca: il possesso non è un dogma, la difesa non deve essere alta. Le sue squadre, abitualmente architettate con il 4-4-2 o il 4-2-3-1, sono incardinate ai due centrocampisti centrali: li vuole solidi, essenziali, aggressivi, smaliziati, con più geometria che inventiva, “tattici”. Fofana è perfetto per lui e un partner adatto può essere Bondo, in arrivo dal Monza. Davanti preferirebbe senz’altro una punta che desse più riferimenti di Morata, ma i suoi giocatori chiave sono i tre che stanno alle spalle del centravanti, perché sono quelli che devono metterci tutta la sfacciataggine possibile: Leao è teoricamente l’ideale come d’altronde Pulisic e Reijnders, che possono miscelarsi nel tipo di terzetto che preferisce, con il genio anche sregolato (il portoghese), uno che ci metta inventiva ma pure personalità (l’americano) e l’altro che abbia visione lucida e movimenti senza palla (l’olandese). A loro potrebbe aggiungersi il mancino Trincão, dello Sporting. È il tipo di calcio che proverà a sbattere in faccia alla Juventus venerdì («Non abbiamo tempo, ma non deve essere una scusa») e poi all’Inter nel lungo derby che vivrà con il suo vecchio amico Simone Inzaghi (e il suo vecchio centravanti Taremi), compagno in una squadra di allenatori: nella Lazio dello scudetto c’erano anche Simeone, Mihajlovic, Mancini, Nesta, Stankovic e Almeyda. Eriksson insegnò qualcosa a tutti loro.

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