Quando i nonni mettono a letto i bambini, vuol dire che il giorno è proprio finito. È così che un simpatico gruppo di attempati quasi quarantenni invece di finire in un film di Muccino se ne va in finale di Champions. Quattro a tre: dove l’avevamo già visto? C’è una memoria ancestrale nel bisogno di epica di ognuno di noi, qualcosa che si ricorda nel tempo e non per un titolo conquistato, non per una Coppa (il Baffo, l’Abatino, Bonimba, Giggiriva e Domingo mica l’avevano poi vinta, la Rimet del ’70) ma perché rimane dentro. Non è solo tifo. Una notte del genere, e pure quell’altra, all’andata, deve girare nel sangue di chiunque ami il pallone.
Acerbi protagonista
Quando Lamine Yamal, questo Mozart che galleggia sull’erba ma che non vincerà la Champions, nasceva, Francesco Acerbi da Vizzolo Predabissi (esiste, non l’ha inventato Fellini) già aveva giocato in D e in C1. L’eroico stoccatore già alle prese con un cancro sconfitto (dopo una roba del genere, ti può far paura il Barcellona?), ha 19 anni, 5 mesi e 3 giorni più del meraviglioso bambino biondo, messo a nanna peraltro dopo Carosello, acerbo contro Acerbi, non poteva che finire così.
I miracoli di Sommer
E poi Lautaro con una gamba sola, però gol e rigore conquistato. E il portiere Sommer, incredibile quel tizio respingente che di anni ne ha 36, uno in meno di Acerbi e ancora non hanno deciso di andare a vedere i cantieri. I leggendari, omerici vecchioni dentro il diluvio e la suggestione, la squadra più anziana della A contro la più giovane della Liga, e se il futuro è degli sbarbatelli il presente è dei “veci”, come all’adunata degli Alpini. Uno spettacolo guardare Dimarco che esulta dopo un tackle riuscito contro il biondino, da lui cancellato con la scolorina. Oppure Dumfries, il vero mistero bionico di questa Inter, l’olandese che in passato pareva essere lì per caso e adesso: doppietta a Barcellona, assist al Meazza, uscita dal campo trascinando la gamba come Enrico Toti, ovazione nella tregenda, c’è anche lui nel poema classico che Inter e Barca, ma soprattutto l’Inter, hanno scritto in versi da mandare a memoria.
La finale di Monaco
Tredici gol in qualcosa più di 220 minuti irripetibili, grazie ragazzi, anche se per i nerazzurri non c’è ancora niente da stringere. Lo scudetto, quello dipende più che altro dal Napoli. La Coppa Italia se n’è andata. La Champions, beh, simbolicamente è stata vinta contro i bimbi venuti da Marte e lassù rispediti. Esiste insomma il paradosso che una stagione favolosa possa essere anche una stagione da zero tituli: come gli azzurri all’Azteca. Così va il calcio, a meno che in finale non entri di nuovo Lamine Frattesi e ci pensi lui.