Cosa resta di una notte così? Su cosa si può costruire un ritorno, una rivincita, un futuro? È la domanda che il nostro calcio si è posto già tre volte negli ultimi dieci anni, e dopo il tornado Psg diventano quattro. Un decennio esatto nel quale l’Inter e la Juventus hanno perduto quattro finali di Champions League su quattro. Non dovrebbe essere un guasto di sistema, visto che due anni fa i nerazzurri restarono in gioco fino alla fine contro un Manchester City di caratura superiore, e poi l’Italia ha pur sempre vinto l’Europeo, quattro anni fa. Ma il peso di una finale persa così può schiacciare senza rimedio.
Problema anagrafico, ma anche mentale
Il problema è anagrafico e tecnico, ma di più mentale. Un atleta si porta dentro l’ombra di certe sconfitte, e qui siamo oltre la soglia della normalità. Perché, se è vero che nello sport e forse nella vita, le delusioni sono sempre di numero superiore rispetto ai successi, una ferita come quella di Monaco può diventare una zavorra psicologica senza remissione. Chi era in campo, sabato sera, e ha patito la spaventosa onda d’urto dei nuovi campioni d’Europa, resterà per sempre uno di “quelli del cinque a zero”. Superarlo, sarà tremendo. Se possono riuscirci giocatori come Barella o Bastoni, l’impresa non può essere alla portata di troppi altri, per età e per ovvio logorio psicofisico che a un certo punto della carriera reclamano l’inevitabile tributo. E qui entra in gioco l’allenatore, figura-chiave in simili momenti. «Io alleno cervelli, non giocatori» amava ripetere Marcello Lippi. Ma per Simone Inzaghi non può bastare un’eventuale attitudine alla psicologia (che lui, peraltro, possiede), anche perché egli stesso sarà coinvolto in questo delicatissimo passaggio psicologico. Chi saprà curare le ferite di Simone Inzaghi? Chi potrà allenare, adesso, il suo cervello?
Rialzarsi per una squadra di trentenni non sarò facile
Non tutti i momenti delle cadute sono uguali. Quando il Milan patì la ferocissima delusione di Istanbul contro il Liverpool, nel 2005, perdendo un trofeo già vinto, ebbe la possibilità di riprovarci e addirittura vincere la Champions due stagioni più tardi. La stessa Juve sconfitta nel 2015 dal Barcellona era un gruppo forte, e con qualche aggiustamento raggiunse nuovamente la finale nel 2017, anche se l’epilogo non fu migliore. Infine, l’umiliazione. Quel 5-0 che mai si era visto: la forma di un punteggio che diventa la sostanza di una caduta terribile. Rialzarsi da una posizione tanto bassa, con questi giocatori trentenni, sembra proibitivo. Forse, era più facile battere i francesi.