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Inzaghi oggi e domani: “Il mio futuro è all’Inter, restiamo concentrati”

Il tecnico nerazzurro dopo la finale di Champions contro il Psg incontrerà Marotta per decidere il futuro

MONACO – In uno dei tanti video che gli interisti si scambiano di telefono in telefono, si vede Inzaghi fradicio, sfinito, felice, che si rivolge ad Acerbi, l’uomo che l’ha portato a Monaco segnando quel gol senza senso con il piede sbagliato: «Leone, ma che dicono questi?». “Questi” non si sa chi siano, ma è facile pensare siano tutti: gli arbitri, i giornalisti, gli avversari, quei tifosi che non capiscono l’enormità della seconda finale in tre anni.

L’elogio di Inzaghi a Barella e Lautaro

Simone Inzaghi se potesse non farebbe conferenze stampa. Con i suoi si capisce quasi senza parlare. Con il vice Massimiliano Farris, che gli ha insegnato a essere interista. Con Acerbi, suo gemello di cuore e antitesi estetica, tatuato come un guerriero andino, sopravvissuto a tutte le battaglie. Con Nicolò Barella, nato per il suo calcio. E con Lautaro, «che è più forte di me», come dice regalandogli le parole che di solito riserva al fratello Pippo. Ha lasciato che si sedesse al centro, ieri in conferenza. Sa che le partite le giocano i calciatori, e per vincerle servono «quelli come Bare e Lauti, che l’Inter ce l’hanno sulla pelle».

L’Arabia tenta Inzaghi

Erano entrambi vicino a lui, quando presentando la finale ha detto: «Sto bene in questa società, ho tutto quello che voglio. Lunedì o martedì parleremo di futuro con il presidente, per il bene dell’Inter». Non basterà a spegnere le voci su una sua possibile fuga, perché così vengono vissuti i trasferimenti in Arabia, citofonare Mancini. I tifosi dell’Al-Hilal lo sognano. Studiano gli spostamenti del presidente Fahad bin Nafel, che stasera sarà all’Allianz Arena. Gli scrivono «portacelo», come secondo la leggenda fece lo sceicco Mansour, che andò in Lamborghini da Manchester alla Spagna, per convincere Manuel Pellegrini a firmare con il City. Gli interisti hanno ancora negli occhi un’altra auto, quella di Florentino, che si portò via Mourinho nella notte di Madrid.

Cosapuò cambiare la finale di Champions

Simone assicura che non finirà così e il risultato non cambierà le cose. Ma le finali di Champions cambiano tutto: carriere, vite, storie personali e collettive. È uno di quei pensieri vertiginosi che Inzaghi è bravissimo a evitare. «Ai giocatori chiedo concentrazione, non ossessione Psg». Loro raccontano come sia un mago nell’infondere tranquillità prima dei big match. Così si vincono partite impensabili, come quelle contro Bayern e Barcellona.

Il colloquio con Marotta

Se vincerà anche questa, potrà presentarsi con la coppa da Marotta, alla prima finale da presidente, che di Champions finora ne ha viste alzare tre dagli avversari. È disposto a concedergli molto, soprattutto ora che Allegri, alternativa naturale, è al Milan: soldi, anni di contratto, calciatori forti, l’impegno a farsi carico della comunicazione pubblica sui temi arbitrali. Ma con la Coppa gli darebbe di più: la piena gratitudine, senza tutti i “ma” di questi anni. Perché Marotta non è Acerbi. Non basta uno sguardo. Con lui, per capirsi, c’è bisogno di parlare.

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