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Italia a Berlino con tanti tifosi in meno, è svanita la magia del 2006. “Poca passione e pochi campioni”

Rispetto al Mondiale vinto 18 anni fa anche grazie al pubblico finora gli azzurri hanno giocato in trasferta. Manca il turismo calcistico e molti biglietti sono stati rivenduti ad albanesi e croati. Ma il gol di Zaccagni potrebbe restituire entusiasmo per il duello con la Svizzera all’Olympiastadion

Iserlohn – Speriamo in Berlino. Incombe il duello con la Svizzera e svela un’incognita inattesa. Finora, all’Europeo, i tifosi italiani sono stati in clamorosa minoranza. È il tramonto dello stereotipo sulla Germania terra di immigrati, pronta a trascinare la Nazionale? Solo a Gelsenkirchen il colpo d’occhio fotografava la parità numerica con gli spagnoli. A Dortmund gli albanesi erano oltre 50mila su 62 mila, molti nella zona destinata agli italiani: il sospetto è che abbiano acquistato proprio da loro i biglietti. A Lipsia, su 38 mila spettatori, i croati erano più dei 25 mila dichiarati e i tifosi azzurri meno dei 10 mila censiti.

Un’Italia che gioca in trasferta

Nel 2006, ha raccontato il capodelegazione Buffon, lui e gli altri futuri campioni del mondo avevano la sensazione “di giocare sempre in casa”. Diciotto anni dopo i suoi eredi, malgrado l’affetto quotidiano di Iserlohn, giocano in trasferta. Eppure la comunità italiana in Germania resta tra le più numerose e radicate, come attesta l’ambasciata di Berlino: 900mila iscritti alle anagrafi tedesche e la stima di oltre un milione di italiani presenti a vario titolo. Il tasso di crescita, spiega Sergio Maffettone, console generale a Monaco, è costante: “Nella sola Baviera mille persone in più al mese”. Si tratta spesso di personale altamente qualificato, soprattutto ingegneri. Ma gli italiani di Germania, qualunque lavoro facciano, vanno volentieri alla partita: più per la loro squadra del cuore – memorabile un Bayern-Napoli – che per la Nazionale.

Il cambiamento dagli anni Cinquanta

Se l’identificazione nazionalistica è il retaggio nell’Europa dell’est dei sommovimenti politici e delle guerre, annota Sara Bonfanti, antropologa dell’università di Genova con un quinquennio di esperienza tedesca, che tutto è cambiato dagli anni Cinquanta dei Gastarbeiter (lavoratori ospiti), in larga parte italiani rimasti nella ristorazione e nell’edilizia: “Due eventi hanno inciso sui flussi migratori: nel 2005 l’apertura delle frontiere e nel 2015 la legislazione sugli sbarchi. Il nazionalismo e le tifoserie identitarie nel calcio sono un aspetto della questione”.

“Oggi meno passione”

Gli spaghettifresser, i mangiatori di spaghetti come venivano denominati gli immigrati italiani di prima generazione, hanno costruito per le loro famiglie un ruolo nella società tedesca, chiarisce Antonio Pelle, l’albergatore che ospitò la Nazionale a Duisburg nel 2006: “I nostri figli continuano ad amare gli azzurri e hanno il doppio passaporto. Noto semmai meno campioni, meno promozione e meno passione”. Giovanni Valentini, responsabile dell’area ricavi della Figc, dà una lettura disincantata: “Casa Azzurri a Iserlohn funziona: oltre 20 mila presenze. Ma i biglietti per le partite costano e il turismo calcistico italiano non è quello olandese, croato, inglese, albanese. Vedremo a Berlino: lì c’è una comunità fortissima”.

In 10 mila a Berlino

Si aggiunge all’auspicio un esperto della materia come il professore Bruno Barba, coordinatore del nuovo corso dell’ateneo genovese su politiche, governance e informazione dello sport: “In Italia, specie attorno allo sport, prevale il campanile. Tuttavia il calcio è fatto di accadimenti che rovesciano le situazioni”. Gli italiani previsti sono 10 mila. Ma chissà che la magia di Zaccagni non colori d’azzurro come nel 2006 l’Olympiastadion e la Westkurve di Jesse Owens ai Giochi del 1936.

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