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Johan Neeskens, è morto uno dei fuoriclasse della grande Olanda

Aveva 73 anni, con Cruyff era stato il pilastro di una squadra leggendaria. Giocò due finali mondiali

Il momento più importante della carriera di Johan Neeskens, morto all’età di 73 anni in Algeria, dove si trovava per seguire un progetto di allenamento organizzato dalla federazione calcistica olandese, è racchiuso in una nuvoletta di gesso sollevata il 7 luglio del 1974, giorno della finale mondiale di Monaco di Baviera. Un tiro di feroce potenza, che non aveva dato scampo al portiere della Germania Ovest Sepp Maier e clou di quella che è forse la più bella partita di sempre della grande Olanda. Durò, e quello fu il problema, solamente 54 secondi e 16 passaggi, effettuati senza che i tedeschi potessero neanche annusare la palla. Poi Uli Hoeness ne ebbe abbastanza e attentò alle caviglie di Johan Cruyff. Sul dischetto del rigore si presentò l’altro Johan, quello con il numero 13: il viso angelico, gli occhi verdi e i capelli lunghi biondi, immagine perfetta di un manifesto di libertà ed emancipazione. Colpì la palla e sollevò il gesso, non sbagliò, ma l’opera d’arte non fu completata: gli oranje iniziarono a cercare la perfezione. Il tocco superfluo di pennello non curandosi del fatto che i tedeschi sarebbero tornati e li avrebbero ribaltati.

Johan e l’altro Johan, pilastri di una delle più grandi idee di calcio della storia, gemelli diversi ma non troppo se è vero che, come il diceva il mentore di quel sogno, Rinus Michels, non sarebbe esistito “Cruyff senza Neeskens”. Mentre però il destino del primo era scritto sin dal giorno in cui la mamma, moglie del custode dello stadio dell’Ajax, lo portò al campo di allenamento, quello di Neeskens non si delineò subito. Lo stava per rapire il baseball: un europeo con le giovanili olandesi, l’interessamento di alcuni club professionistici americani. Negli Usa in effetti ci arrivò, ma parecchi anni dopo, e non su un diamante ma sul campo di quel circo ambulante di stelle un po’ cadenti dei Cosmos di New York. E soprattutto dopo aver contribuito a scrivere la storia del calcio.

Neeskens era il più totale di tutti nel calcio totale. Nell’Ajax (dove vinse tre coppe dei campioni, arrivò ad appena 19 anni, l’altro Johan aveva già disputato una finale di Coppa dei Campioni. Faceva il terzino destro, quando all’epoca all’interprete del ruolo non era richiesta la copertura di tutta la fascia. Lui lo fece, anzi ben presto iniziò a coprire tutto il campo. Molto box to box, come si dice oggi, inesauribile in tutte le fasi di gioco. Sjaak Swart, attaccante di quell’Ajax, diceva di non averlo ‘’mai visto a terra per più di tre secondi”. Scudiero di Cruyff, non solo nell’Olanda e nell’Ajax ma anche nel Barcellona, dove fu accolto da qualche mugugno – prendeva il posto di Hugo Sotil, amatissimo in Catalogna – che però spazzò via in fretta. E Cruyff, non sempre magnanimo con i compagni (celebri le liti con van Hanegem e la scarsa simpatia con Rep), sapeva ricompensarlo, come nella partita più violenta dei mondiali di Germania, contro il Brasile. Un delizioso assist che tramutò in rete con una deviazione in scivolata. I due, fallito il mondiale, ci riprovarono due anni dopo agli Europei, ma anche quell’operazione fallì. Bella e incompiuta anche nel 1978 in Argentina: Cruyff aveva già lasciato i tulipani e un’altra finale fu persa contro la squadra padrona di casa.

A carriera finita allenò, ma senza gli stessi risultati. Olanda, Australia, Barcellona, sempre da vice. Scudiero, ma senza l’altro Johan non era la stessa cosa.

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