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Jonathan Lee Klinsmann: “Scusa papà Jürgen ma gioco in porta, dove si prova l’adrenalina vera”

Il figlio del grande ex attaccante dell’Inter e della Germania riveste a Cesena il ruolo opposto: “L’energia di una parata mi dà la carica”

CESENA – Alla domanda “le faranno mai un’ intervista senza chiederle di suo padre?”, Jonathan Lee Klinsmann spalanca un sorriso largo quasi come l’apertura alare dei suoi 195 centimetri. Il papà Jürgen, campione del mondo ’90, giocava in attacco nell’Inter e nella Samp. Jonathan, 27 anni, passaporto statunitense e tedesco, è il portiere del Cesena, dove il socio di maggioranza, il californiano Mike Melby, è un vecchio amico di papà. Klismann Jr., arrivato a gennaio 2024 da svincolato per fare il terzo portiere in Serie C, ora è il titolare in B. Prima è passato da Hertha Berlino, San Gallo, Los Angeles Galaxy. Sabato a Cremona è stato il migliore in campo nella vittoria dei romagnoli. Una settimana prima ha affrontato il Pisa che aveva in lista Louis Thomas Buffon, il figlio di Gigi e di Alena Seredova che gioca ala sinistra: eredi che rovesciano gli spartiti dei padri.

Un Klinsmann portiere fa un certo effetto. Com’è successo?

«Da ragazzino ero attaccante nel Grünwald, in Germania. Però mi incuriosiva stare in porta, a 13 anni ho cambiato ruolo».

Cosa vuol dire giocare in Italia?

«È un mondo di cui volevo far parte. Il calcio italiano per me erano le partite di Inter e Samp in tv viste da bambino con mio padre. Mi immaginavo le sensazioni dei giocatori in un clima speciale, ora le provo dal vivo, è bellissimo».

Paolo Maldini ricordava che da giovane non sopportava i dopopartita in auto col padre.

«In questo, io con mio padre non ho problemi, è sempre stato un supporto e mai una fonte di pressione. Avevo perfino smesso con il calcio per darmi al basket e mi ha incoraggiato anche in quel caso».

Jürgen di lei dice: “Jonathan is a gamer, più la partita diventa difficile, più si esalta”.

«Sì, mi piace la tensione della partita. Quando scatta l’adrenalina, entro in quella che negli Usa si chiama “zone”. L’energia di una parata, la carica dei miei tifosi, il frastuono dei tifosi avversari: tutte cose della “zone”, tutte situazioni che mi caricano».

Segue altri sport?

«Sono un tifoso accanito dei Lakers, ho visto le finali Nba con l’anello di Kobe Bryant nel 2009 e nel 2010 allo Staples Center. Seguirli da qui in tv è dura con il fuso. In più sono appassionato di golf».

Come è stato l’impatto con la Serie B italiana?

«Mi piace da matti, è un campionato tosto. Negli Usa ogni gara è uno show, qui ognuno combatte per qualcosa: si sogna la A, si lotta per salvarsi… amo il clima da battaglia che c’è da voi».

Il più bel complimento che le ha fatto suo padre dopo una gara?

«You changed the game, hai cambiato la partita. Me lo disse dopo il debutto da titolare a Salerno a fine ottobre: eravamo sotto di un gol, poi a un certo punto prendo palla e lancio in tutta fretta Tavsan che subisce fallo dal loro portiere che viene espulso. Di lì a poco abbiamo pareggiato ed è stato un punto importante».

E la critica più dura?

«Ma no, lui è sempre costruttivo: se faccio uno sbaglio, ci ricava uno spunto per migliorare. Se c’è una cosa che ho imparato è che il calcio è difficile, tutti all’interno di una partita commettono errori. E per fortuna mio padre questo lo capisce meglio di tutti».

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