TORINO – L’unico punto di equilibrio della Juventus sono i pareggi: siamo già al quarto di fila ed è tuttavia una costanza che consegue dall’incostanza, la più acclarata delle contraddizioni di una squadra tenace e fragile, coraggiosa e spaurita, capace di passaggi a vuoto e di pezzi di bravura e che vive una, due, tre partite diverse all’interno della stessa, con un’imprevedibilità che stupisce lei per prima.
Tudor e una Juve con pregi e difetti
Thiago Motta pareggiava di continuo, ma la sensazione era che in qualche modo fosse quello l’obiettivo, latente o no, vista la prudente circospezione con cui giocava. Con Tudor va diversamente e i quattro pareggi «sono uno diverso dall’altro», come riconosce anche il capitano Locatelli. La Juventus andrebbe definita pazza, se quell’aggettivo non fosse storicamente associato all’Inter e se non piacesse a Tudor, predicatore dell’equilibrio che però non si raccapezza in questo andirivieni di stati d’animo. «Le nostre non sono partite matte. Piuttosto, io vedo una squadra con pregi e difetti ma seria e organizzata, che dà tutto. Non è che quando uno prepara una gara pensa “voglio che finisca 2-2”, oppure immagina il primo tempo in un modo e il secondo in un altro».
Quattro pari di fila tra meraviglie e sterzate
Però capita. L’avvio era stato lineare (2-0 al Parma, 1-0 al Genoa), poi l’elettrocardiogramma tecnico ha cominciato a impazzire. Il 4-3 con l’Inter e il 4-4 con il Borussia sono state delle meravigliose follie, il 2-2 con il Villarreal meno perché alla fine l’ultima capriola l’hanno fatta gli altri, ma anche il doppio 1-1 con Verona e Atalanta è arrivato tra brusche e imprevedibili sterzate. «L’altra sera qualcuno era teso, qualcuno stanco: possono essere spiegazioni» argomenta Tudor, mentre Locatelli azzarda un’analisi più precisa: «Nel primo tempo sbagliavamo tanto tecnicamente e non facevamo bene le marcature preventive, per cui ci toccava di fare continuamente avanti e indietro tra attacco e difesa e per questo sembrava che arrancassimo, ma era una questione tecnica e non fisica».
La mancanza di personalità
Di sicuro la Juventus ha un pesante deficit di personalità e non da quest’anno: quando è uscita di scena la generazione dei nove scudetti, nessuno ha saputo raccogliere la leadership rimasta vacante, se non forse Bremer. Quando Tudor dice che «sull’ultimo corner dovevamo essere furbi, svegli, difendere la porta con i denti e con le unghie» inquadra un’angolazione del problema. Locatelli ne mette a fuoco un’altra: «Dobbiamo maturare nella capacità di gestire i dettagli e capire i momenti della partita».
Il nodo attaccanti e l’abulia di Koop
Alle porte c’è il Milan e se c’è una cosa che Allegri ha sempre saputo insegnare è la gestione delle varie fasi di una gara, che a questa Juve proprio non riesce: procede per sbalzi di umore, ha momenti irresistibili e altri sconfortanti ma non dà mai la sensazione di tenere in pugno il confronto, di portarlo dove desidera. Di sicuro non aiuta la gestione degli attaccanti: chiunque giochi, sembra vittima della frustrazione. E va verso l’irrisolvibilità, e forse addirittura all’irreversibilità, il problema dell’abulia di Koopmeiners. Ma poi, a guardare i risultati, la Juve c’è, è lì, a suo modo funziona e di sicuro le sue partite non sono mai noiose, tra uno sbaglio pacchiano e un’inimmaginabile gol in rovesciata.