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Juve, la conversione di Thiago Motta: “Non sono fissato per il gioco”

Il tecnico bianconero ha scelto difesa e contropiede per battere il City: meno possesso palla e più tiri in porta. “Bisogna sempre leggere le partite”. Ma domani sera contro il Venezia dovrà tornare a rischiare

TORINO – “Non pensate che sia fissato con il mio gioco, non è così” dirà Thiago Motta alla fine di una notte meravigliosa, meravigliosa e diversa da ogni notte vissuta prima perché è stata quella in cui l’allenatore italo-brasiliano è stato squisitamente italianista, dimostrando che sì, non era fissato con i dogmi di una filosofia pura, anche se li ha consapevolmente traditi per la prima volta soltanto l’altro ieri: contro il City la Juve ha scelto di difendersi e di farlo in quel modo, abbassando all’estremo il baricentro, occupando militarmente i trenta metri più arretrati del campo, puntando su concentrazione e aggressività (e su anima e cuore), sguinzagliando contropiedi all’improvviso.

Motta e una Juve ‘diversa’

Vuol dire che Thiago Motta ha ampliato il suo bagaglio di conoscenze e non ha esitato a convertirsi, per un volta almeno, ai principi dell’italianismo più spinto. In campionato la Juve di solito tiene palla per il 60,8% del tempo, contro il City l’ha dimezzato (31,1%) epperò ha tirato in porta più dell’avversario (5-3) e più di quanto faccia abitualmente quando il gioco lo comanda. È stata la partita, insomma, che ha schiuso il futuro a un’altra possibilità di Juve, ma specialmente a un’altra possibilità di Thiago Motta.

I principi di Thiago ribaltati

Non sono fissato, dice lui, ma i principi inalienabili del suo calcio sono (erano?) la custodia del pallone e l’avanzamento della linea difensiva, principi sempre più o meno rigorosamente osservati tranne mercoledì sera, quando sono stati totalmente ribaltati. “Ma io ho sempre detto che giocare bene significa capire il momento, capire la partita” e in effetti li ha capiti benissimo, con meticolosità tipicamente nostrana.

Contro il City una Juve umile

Il suo grande merito è stato non cedere alla superbia di una sfida a viso aperto, da pari a pari, preferendo piuttosto l’umiltà del cambiamento e dell’adattamento, sconosciuta invece a Guardiola, che ha incassato la settima sconfitta in dieci partite. Adattandosi, Motta ha aperto a un domani in cui, a seconda delle necessità, saprà essere ferro o essere piuma. “Bisogna saper ingannare l’avversario”, attirarlo e poi prenderlo alle spalle. Sembra la sintesi perfetta tra la prosa risultatista e la poesia giochista, in realtà è soprattutto evoluzione della specie: “Abbiamo tutte le capacità per impostare una partita completamente diversa e magari in futuro il City lo affronteremo in un altro modo”.

Il prossimo obiettivo di Motta

Eccolo, dunque, l’obiettivo a medio termine: arrivare a proporre il proprio gioco di fronte a chiunque, anche a quelli manifestamente superiori, perché alla fine la fissazione è questa, benché non sia ancora tempo di assecondarla. Finora la muta tattica ha incontrato delle resistenze e di rado la squadra si è trovata a suo agio come mercoledì, quasi che la riemersione del dna tradizionale avesse rassicurato i giocatori — specie quelli più radicati nel club come Locatelli, Gatti, Danilo — mentre quando si tratta di cambiare i canoni di gioco la squadra fa più fatica a esprimersi liberamente perché ci deve pensare su, non agisce d’istinto.

L’esame Venezia

Motta si è però votato solamente a un italianismo di passaggio, lo vede come una tappa dell’evoluzione: magari immaginava una conversione più rapida da uno stile all’altro, invece nelle ultime settimane ha dovuto fare dei passi indietro. “Ma certo non possiamo giocare sempre così, dobbiamo prenderci più rischi”, a cominciare da domani sera contro il Venezia: finora la Juve ha fatto più fatica a essere forte con i deboli che con i forti.

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