TORINO – Ogni volta che qualcuno ha provato a modificare il dna calcistico della Juventus, o è cambiato lui o hanno semplicemente cambiato allenatore. La società più reazionaria d’Italia, almeno per quanto riguarda il rettangolo di gioco, ha esonerato Thiago Motta, il nono allenatore a lasciare anticipatamente la panchina per decisione della società.
L’ultimo era stato Allegri, ma si era trattato più di un pro-forma, visto che con la vittoria della Coppa Italia e due partite da giocare, venne promosso Montero ad interim. Sono sempre i risultati a determinare il successo di un allenatore, più che l’estetica del gioco: lo insegna la storia del club, vincente per necessità. Con l’addio a Motta, che rappresentava il giusto compromesso tra una visione propositiva del calcio e i risultati, almeno nelle idee di inizio stagione, siamo alla terza “rivoluzione” finita con un nulla di fatto negli ultimi sei anni.
Le tre rivoluzioni tattiche finite con un nulla di fatto
Sarri, Pirlo, Motta. Tre allenatori che hanno rappresentato, per quanto fatto o per quanto ci si aspettava facessero, un punto di svolta per la Juventus, specialmente in un periodo in cui vincere otto scudetti consecutivi, di cui cinque con il gioco di Allegri, non bastava più. Il primo fu Sarri, arrivato a Torino ma mai assimilato completamente da un ambiente che l’aveva individuato da tempo come “nemico”. Il suo “Sarriball” non fu quasi mai visto in campo, ma oggettivamente la squadra esprimeva un gioco gradevole: inoltre il tecnico ex Napoli, lentamente ma inesorabilmente, modificò il suo modo di far giocare la squadra, arrivando poi a vincere lo scudetto, l’ultimo vinto dai bianconeri. L’eliminazione dalla Champions per mano del Lione, anche se il Covid rese il tutto surreale visto che l’andata si giocò a fine febbraio e il ritorno ad agosto.
L’anno di Pirlo, finito con la restaurazione
Qualche giorno dopo toccò a Pirlo, esordiente in panchina e chiamato a sostituire Sarri: l’attesa era grande ma nonostante la presenza di Ronaldo e di una rosa di altissimo livello, i risultati altalenanti in campionato, con la qualificazione Champions conquistata all’ultima giornata grazie anche al gol di Faraoni in Napoli-Verona, e l’eliminazione con il Porto costarono anche a lui la panchina. Nonostante avesse vinto la Coppa Italia e la Supercoppa Italiana, toccò nuovamente ad Allegri: la restaurazione dopo la rivoluzione. In passato le suggestioni sul bel gioco, sul “calcio champagne” riportano la memoria al periodo di Maifredi, anche in quell’occasione conclusa con il ritorno a un passato più equilibrato e, se vogliamo, reazionario: al suo posto arrivò Trapattoni, cavallo di ritorno e, insieme a Lippi, l’allenatore che più di tutti si identifica con la storia bianconera. Gli unici a vincere la Champions con la Juventus: non cambiarono la Vecchia Signora, ma la assecondarono.
L’esonero di Motta, il nono della storia
Naturalmente nel fallimento di una stagione o di una rivoluzione entrano in gioco diversi fattori, dalla qualità della rosa agli infortuni. Motta è tutto fuorché un integralista e non bisogna dimenticare che ad inizio stagione la sua difesa era praticamente impenetrabile: tutto cambiò con l’infortunio di Bremer, ma legare le sorti a un solo difensore non può essere espressione di solidità.
Si è arrivati quindi all’esonero, il nono della storia della Juventus. Il primo è datato 1957 con Sandro Puppo, passato dal Barcellona e che puntava sul bel gioco e sulla valorizzazione dei giovani: le coincidenze non mancano, insomma. L’anno dopo toccò a Ljubisa Brocic, poi nel 1963 a Paulo Amaral, un brasiliano atipico visto che la sua Juve era accusata di essere troppo incentrata sull’aspetto difensivo. Dopo l’addio a Luis Carniglia nel 1969, bisognerà attendere il 1999 quando Marcello Lippi, sì proprio lui, diede le dimissioni dopo il clamoroso ko casalingo con il Parma, un 4-2 che portò all’ingaggio di Ancelotti. Nel 2009 Claudio Ranieri venne esonerato a due giornate dalla fine, visto che la qualificazione alla Champions era a rischio dopo sette risultati negativi consecutivi: arrivò Ciro Ferrara, si qualificò ma l’anno successivo durò 22 giornate prima di essere esonerato anche lui.
Il penultimo, nella primavera del 2024, fu Allegri: un addio arrivato in seguito alla sfuriata dopo la vittoria di Coppa Italia. Ma preceduto da un avvertimento oggi più che mai attuale: “Sono dieci anni che vivo a Torino e per otto ho allenato la Juventus. Ho avuto la fortuna di far parte di questa famiglia e di questo club che ha un DNA unico. Difficilmente potrà essere cambiato, può essere modellato ma non cambiato. Il DNA di ogni società va sempre rispettato”.