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Kane il ‘maledetto’, ma l’Inghilterra non vinceva neanche con Beckham & c.

Balza all’occhio, dopo la sconfitta con la Spagna, la casella 0 tra i trofei conquistati dal cannoniere. Ma i problemi del calcio inglese, a iniziare dalla mancanza di una scuola identitaria, sono altri

BERLINO – A raccontarlo non sembra neanche vero, invece eccome se lo è: l’Inghilterra non vince un tubo dal 1966, da quel remoto Mondiale di casa sgraffignato ai tedeschi con un gol fantasma. Prima e dopo, niente. Da allora, sono stati campioni del mondo il Brasile e la Germania, l’Argentina e l’Italia, la Francia e la Spagna, l’Inghilterra mai. Sono state finaliste l’Olanda e la Croazia, l’Inghilterra mai. Sono andate sul podio la Polonia, la Svezia, il Belgio e la Turchia, l’Inghilterra mai. Hanno vinto l’Europeo l’Italia, la Germania, la Cecoslovacchia, la Francia, l’Olanda, la Danimarca, la Grecia, la Spagna e il Portogallo. L’Inghilterra mai, soltanto due finali nelle ultime due edizioni e sempre con quel sant’uomo di Southgate in panchina, trattato come una specie di ebete dalla stampa britannica e dagli ex calciatori oggi opinionisti (quelli che, come ha detto Kane, “hanno dato il loro bel contributo a tutti questi anni senza vittorie”) eppure l’unico che abbia portato la nazionale del Tre Leoni ai livelli che dovrebbe frequentare con regolarità e che invece bazzica solamente da quando è lui il ct, vale a dire dal Mondiale 2018, chiuso al quarto posto (nel 2022 venne eliminato dalla Francia in un quarto di finale sfortunatissimo). Questo per dire che l’Inghilterra, dove il calcio e stato inventato e dove si gioca il campionato di più alto livello al mondo, ha un problema grosso, serio e annoso e non è Southgate.

Il ‘maledetto’ Kane

Casomai può esserlo, almeno in parte, Harry Kane, massimo goleador della nazionale, bomber seriale da 400 gol in carriera e vittima di uno dei sortilegi più crudeli e misteriosi della storia del calcio: se l’Inghilterra non vince niente dal 1966, a lui succede da quando è nato. È vero che la parte più importante della sua carriera l’ha spesa al Tottenham, che non è esattamente la squadra più vincente del calcio britannico ed è anzi una storica perdente, al punto che esistono un sostantivo (spursiness) e un aggettivo (spursy) per definire le sue ataviche sfighe, ma Kane è riuscito a non vincere niente neanche con il Bayern Monaco, nemmeno una misera Supercoppa. Era dal 2012 che i rossi di Baviera non chiudevano una stagione senza nemmeno un titolo. In quanto al Tottenham, Kane ci ha perso assieme due finali di Coppa di Lega, una di Champions e una Premier vanamente contesa al Leicester fino a poche giornate dalla fine. It’s so spursy, è il commento a corredo, ma sarebbe profondamente ingeneroso tacciare Kane di essere un menagramo: è un giocatore non soltanto fortissimo, ma anche leale, corretto, umile, generoso. Se c’è uno che meriterebbe la gioia di un trionfo quello sarebbe lui, ma spesse volte il calcio non ha un gran senso della giustizia, soprattutto nei confronti di chi ha il pallino di comportarsi bene, di mantenere sempre atteggiamenti dignitosi e altamente etici. Nella stagione prossima, bisognerebbe tifare per il triplete del Bayern.

Ma Kane ha fatto meglio di Beckham & c.

Ovviamente Kane non ha vinto niente neanche con l’Inghilterra, con la quale è stato sconfitto nelle ultime due finali europee e ha sbagliato un rigore fatale ai Mondiali contro la Francia. Ma ha comunque fatto meglio dei Palloni d’oro sbucati dal 1966 in avanti (Keegan e Owen) e specialmente dei teorici fenomeni della generazione più forte di sempre (Beckham, Lampard, Gerrard, Scholes, Rooney, Owen, Terry, Campbell), allenata anche da Eriksson e Capello e mai andata oltre un quarto di finale. All’Europeo nel 2008 manco si qualificò, per dire.

Inghilterra, un calcio senza scuola

È evidente come quello inglese sia un problema di scuola, cioè di scuola che non c’è. Da quando è tramontata quella vecchia idea d calcio rustico che resistette per un secolo (corse furibonde, palle lunghe, tackle metallici, cross su cross e colpi di testa, senza un attimo di respiro), gli inglesi non hanno più saputo avere uno stile. Continuano ad avere molta tecnica e non sono mai mancati i dribblatori, ma non c’è nulla che caratterizzi davvero il calcio inglese se non l’intensità, unico retaggio dei tempi andati. Non c’è uno stile, però. Non c’è, soprattutto, una scuola, se è vero sono 32 anni che un allenatore inglese non vince un campionato in nessuno dei cinque più importanti (l’ultimo è stato Howard Wilkinson alla guida del Leeds, nel 1993) mentre, per fare un raffronto, nello stesso periodo in Italia hanno conquistato lo scudetto solamente tecnici italiani tranne Eriksson e Mourinho. Per trovare un inglese capace di vincere la Coppa dei Campioni, bisogna poi risalire addirittura al 1984 e al Liverpool di Joe Fagan, mentre l’ultimo a sedersi in panchina in un finale di Champions è stato Terry Venables con il Barcellona, sconfitto in finale dalla Steaua Bucarest nel 1996. Da allora hanno vinto allenatori italiani, portoghesi, serbi, olandesi, belgi, tedeschi, scozzesi, spagnoli, francesi. Ma neanche un inglese: non è colpa di Southgate (in quanto a risultati, il miglior allenatore inglese degli ultimi trent’anni) non è la maledizione di Kane, sono loro che si maledicono da sé o che, più razionalmente, non hanno mai voluto formare una scuola tecnica, una Coverciano d’Albione. Si sono affidati all’elementarità del calcio ancestrale e ai soldi per ingaggiare all’estero i tecnici più preparati, così da sessant’anni guardano gli altri vincere.

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