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Kean: “Amo il rap, combatto il razzismo e senza il calcio ora sarei nei guai”

“In Italia di giovani talenti ce ne sono tanti ma non riusciamo a sfruttarli bene: anche io sono dovuto andare all’estero. Vlahovic mi ha consigliato di venire qui ed era contento della mia scelta. Con Leao siamo amici, parliamo di musica e moda”

Preston — Il prato verde, perfetto come un lenzuolo fresco in piena estate. Ripartire per riprendersi tutto: i gol, l’Europa, la Nazionale. Il sogno di ogni calciatore, vissuto attraverso gli occhi di Moise Kean. Ventiquattro anni, appena arrivato alla Fiorentina per un totale di 18 milioni di euro bonus compresi dopo aver firmato un quinquennale da circa due milioni a stagione. Sarà lui l’attaccante sul quale punterà Raffaele Palladino, che nel ritiro nella contea di Lancashire stimola il suo centravanti. Kean risponde coi sorrisi, i gol in partitella, alcune acrobazie nelle quali ricerca le sensazioni giuste. In un certo senso è lui l’erede di Dusan Vlahovic, almeno nei pensieri della dirigenza viola che a inizio estate aveva fatto mea culpa nel non aver trovato negli ultimi anni un bomber dai ritmi che lanciarono il serbo in testa alla classifica marcatori prima del suo passaggio in bianconero. Moise e Dusan, non soltanto un incrocio in parallelo ma anche un passaggio virtuale di testimone tra il passato e il presente di questa Fiorentina. «Dusan mi ha sempre parlato bene di Firenze – dice Kean, fuori l’hotel dove alloggiano i viola nel ritiro di Preston – Mi ha detto che questa città gli ha dato la svolta, che è grazie anche alla gente che aveva intorno, che l’amava tantissimo. Mi ha consigliato di venire qui ed era contento della mia scelta».

Si può essere amici anche tra calciatori al di là delle maglie che si indossano?

«Certo. Con Rafael Leao, per esempio. Parliamo di musica, calcio, moda».

Qualcuno sostiene che Leao pensi troppo alla musica. È così anche per lei?

«Se Dio ti dà la possibilità di possedere un talento, perché non mostrarlo? Fare musica mi rilassa tantissimo. Finiti gli allenamenti, mi ritrovo a scrivere nel mio studio. Tanti non riescono ancora a capire quel che trasmette la musica».

Quando ha iniziato a dedicarsi al rap?

«Avevo tredici anni. Tornavo a casa dopo aver giocato per strada: tra una partitella e l’altra vedevo dei ragazzini che facevano freestlye e battle rap. Improvvisando. Io giocavo e poi mi fermavo con loro. La musica mi ha sempre seguito nel mio percorso da calciatore. Ho scritto “Outfit” e adesso potrebbe uscire un altro singolo scritto proprio con Leao».

Quali sono i suoi riferimenti musicali?

«Capo Plaza, col quale ho un ottimo rapporto. Boro Boro che ho conosciuto a Torino. E poi Bob Marley».

Perché è così legato al musicista giamaicano?

«Quando ero piccolo mio padre portava a casa nostra le sue cassette. Anzi, c’era un’unica cassetta che potevo ascoltare ed era di Bob. Mi è sempre piaciuta la sua storia: un uomo che ha preso la vita in un altro modo. Le sue frasi sono intense, il suo modo di vivere mi ha ispirato. Lo ammiro così tanto che ho chiamato mio figlio Marley».

È stata dura la sua infanzia?

«Ho iniziato a giocare a calcio nei giardinetti di Vercelli, da bambino. Accompagnavo mio fratello Giovanni allo stadio per gli allenamenti. Poi mi sono trasferito ad Asti e mi sono iscritto a una scuola calcio. Ho sempre giocato attaccante e fatto tanti gol».

Il video dei suoi tentativi di mirare il centro di un gioco per bambini al Viola Park è diventato virale. Pare non riuscirci…

«Ho pensato di lasciar vincere loro, quel che contava era renderli felici. Se poi la gente la prende in un altro modo, non è un problema mio».

Sui social ha risposto alle critiche.

«Ero lì per far divertire i bambini ed era giusto mettere in chiaro questa cosa».

Ma qual è il rapporto coi social?

«Ci vado a fine giornata, quando mi riposo un po’. Giro su Instagram, guardo i video, le notizie. Un passatempo, niente di più».

Esordio a 16 anni, primo classe 2000 a esordire in Serie A e in Champions: eppure che fatica, in Italia, coi talenti. Perché?

«Non riusciamo a sfruttarli bene. Anche io sono dovuto andare all’estero per far capire che di talenti giovani e italiani ce ne sono tanti. Manca ancora l’approccio giusto. Uno step al quale arriveremo presto, ne sono sicuro».

Quando riusciremo, invece, a sconfiggere il razzismo?

«È una delle mie battaglie più grandi».

Ha mai avuto problemi di discriminazione?

«Sì, ma in quei casi sono stati gli altri ad avere problemi con me. Quando ero piccolo ci rimanevo male, mi dicevo: io respiro, tu respiri, siamo uguali. Siamo umani. Cosa c’è di strano? Poi ho capito che dobbiamo combattere. Quando vai fuori dall’Italia trovi mentalità che non arrivano a questi pensieri. Piano piano ce la faremo, spero il prima possibile».

La sua vita è cambiata grazie al calcio, alla musica o alla nascita di suo figlio?

«Senza il calcio a quest’ora sarei nei guai. Quando sei piccolo hai delle scelte davanti e bisogna fare quella giusta. Io non avevo esempi attorno a me da seguire. Avevo una persona però, un mio caro amico, che mi ha sempre detto di prendere la strada giusta: quella di fare calcio».

E come ha proseguito?

«Avevo dodici anni, nessuno poteva portarmi al campo nei tragitti da Asti a Torino. Quindi rimasi al convitto, vivevo lì tutti i giorni. Tornavo a casa soltanto il weekend dopo le partite. Sono sacrifici ai quali da piccolo non pensi troppo: sei lontano da genitori e amici, dai tuoi affetti più cari. Dura da capire ma te ne accorgi quando cresci».

Ne ha fatte di bravate?

«Ricordo il prete all’oratorio. Lo facevo arrabbiare quasi sempre, è la persona che mi ha sopportato di più. Andava a dormire alle nove e chiudeva tutto. Sbarrava anche il campo nel piazzale. Allora ci organizzavamo, aspettavamo che lui dormisse e poi scavalcavamo per andare a giocarci tutta la notte».

Cosa direbbe, adesso, a quel Kean ragazzino?

«Di credere sempre in sé stesso perché nessuno lo farà per lui. In campo ci sei tu contro tutti. A volte contro te stesso. E allora dai il meglio, fallo al massimo e insegui il tuo sogno».

Ai suoi genitori, invece, cosa direbbe?

«Li ringrazio. A mia madre dico sempre che è la mia prima sposa. È tutto per me».

Ma adesso, dopo aver girato così tanto, si fermerà a Firenze?

«Il futuro è adesso ed è la Fiorentina».

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