TORINO – Com’era da bambino il suo gemellino Mbappé, Kolo Muani?
“Siamo nati a Bondy a pochi giorni di distanza uno dall’altro, io il 5 dicembre e lui il 20, ma io sono di Villepinte: di mezzo c’erano 20 km, per un bambino un mondo. Lui era già la star della zona ed è andato via presto, mentre io ho continuato a fare provini. Ed è in Italia che stavano per prendermi”.
Cosa ricorda di quell’estate tra Cremona e Vicenza?
“Avevo 16 anni, ero così timido, così legato alla famiglia: sono stati giorni duri”.
Fu per quello che non restò?”La Cremonese mi avrebbe preso, ma non mi propose quello che mi aspettavo”.
Cosa?
“Non venendo da un centro di formazione, avrei avuto bisogno di 2 o 3 anni per mettere delle basi, ma me ne garantivano uno solo”.
Invece il Vicenza?
“Lì fui a due dita dalla firma, però mio padre non era entusiasta che andassi all’estero e mi fece rientrare”.
Lei era d’accordo?
“No, volevo restare e inseguire il mio sogno. Ma aveva ragione papà”.
Perché i provini in Italia?
“Forse ce l’avevo nel destino. Erano le uniche due squadre a volermi, anche se poi ho avuto modo di fare altri provini, prima a Rennes e poi al Nantes, che infine mi ha preso”.
“Aveva la nonchalance tipica dei giocatori istintivi che non sono passati da un centro di formazione”: così la descrive il suo reclutatore a Nantes. Si riconosce?
“Sì. Ero naïf, in campo facevo la prima cosa che mi passava per la testa perché il pallone era solo divertimento”.
Cosa significa essere nonchalant?
“Dare l’idea di non avere voglia di fare quello che stai facendo, ma in realtà non ero così: per me il calcio era prima di tutto piacere, poi le circostanze hanno fatto in modo che diventasse qualcosa di più di un divertimento”.
Con le circostanze ci ha subito sbattuto il naso, vero?
“Il Nantes mi manda a farmi le ossa a Boulogne-sur-Mer, seconda divisione. All’esordio, reagisco male a un fallo e vengo espulso. Al rientro dalla squalifica, la stessa cosa: altro rosso. Lì sono cambiato: ho perso due volte la testa, l’ho ritrovata e non l’ho persa più”.
C’è un altro istante decisivo: Argentina-Francia, ultimo secondo della finale Mondiale, lei ha l’occasione della vita ma Martinez fa la parata del secolo.“Sì, una buona parata”.
Non un miracolo?
“Ha fatto quello che doveva”.
Anche lei?
“Lui ha fatto il portiere, io l’attaccante, ha vinto lui. Fu tutto così veloce e un po’ folle. So che se avessi segnato sarei entrato nella storia. Ho immaginato mille volte che sarebbe potuta andare diversamente e ci ho messo un po’ a riprendermi, ma ci sono riuscito. Non ho rimpianti, è il calcio”.
Si sente un predestinato?
“Uhm, mah, no, direi di no”.
Un top player?
“Solo un buon giocatore”.
Perché a Parigi ha fallito?
“Un francese nel Psg, oltretutto costato 90 milioni, ha una pressione enorme e non tutti sono in grado di reggerla. Io non ci sono riuscito. Ho avuto delle possibilità e non le ho sfruttate. Fa male al cuore, ma lo ridico: è il calcio, non ho rimpianti”.
I rapporti con Luis Enrique erano difficili?
“No, molto molto buoni. Lui è davvero un ottimo allenatore, mi ha dato un’enormità di consigli, è una fortuna avere un tecnico come lui”.
Anche se l’ha fatta giocare poco?
“In campo andavo io, non lui. Le opportunità me le ha date”.
Si ricorda chi è stato il primo a convocarla con i grandi?”Certo, Sergio Conceiçao a Nantes. Mi disse cose che mi stampai in testa”.
Tipo?
“Anche lui che ero troppo nonchalant e che avrei dovuto lavorare di più, perché vedeva in me un grande potenziale”.
L’istinto del giocatore naïf lo ha soffocato del tutto?
“Il mio divertimento è diventato un mestiere e devo viverlo in maniera seria e professionale, perché la posta in gioco è alta. Ma una parte istintiva me la sono tenuta: se non provi piacere, e a Parigi ne provavo poco, non sboccerai mai. E poi in campo ci sono momenti in cui c’è bisogno dell’istinto, per vincere una partita”.
]]
Lei viene dalla banlieue di Parigi, la regione che produce il maggior numero di calciatori. Da cosa dipende? Dalla mescolanza di culture, dall’occasione di riscatto che offre il calcio, da cosa?
“Alla base c’è che tutti giocano e il livello tecnico è altissimo già nei bambini”.
Lei correva dietro a un pallone per strada?
“No, giocavo nelle squadre della zona. Papà diceva che prendere bei voti a scuola mi avrebbe aiutato a giocare meglio a calcio e avrebbe preferito che studiassi, ma io avevo il mio sogno. Me l’ha lasciato inseguire a condizione che dessi il 100 per cento”.
Vivevate in un quartiere difficile?
“Sono stato fortunato, i miei genitori mi hanno cresciuto nelle migliori condizioni, li ringrazio”.
Villepinte è ancora casa sua?
“Gli amici sono tutti lì e quando torno porto sempre delle maglie o qualcosa per un’associazione che aiuta le famiglie che ne hanno bisogno, sia a livello alimentare sia di supporto ai ragazzi”.
Parigi è un capitolo chiuso?
“Non lo definirei chiuso, visto che ho ancora un contratto con loro”.
La sua volontà è di restare alla Juventus?
“La mia volontà è di giocare e di divertirmi. Ma se le cose continuano così, perché no? La Juventus è il club che mi ha aperto le porte”.
E sarà anche quello del futuro?
“È il club che mi ha aperto le porte”.
Motta l’ha messa titolare subito.“Ho parlato molto con lui prima di venire, mi ha spiegato come vedeva le cose, come avremmo giocato. È questo che mi ha attirato e spinto a firmare. Non credevo che i miei esordi riuscissero così bene”.
Si sente adatto al calcio italiano?
“Mi sento adatto al calcio europeo”.
Centravanti o ala?
“Sono un attaccante e al giorno d’oggi bisogna essere polivalenti, quindi sto bene al centro come da esterno. Preferisco giocare negli spazi, prendere la profondità e sfruttare la mia velocità, ma sto dimostrando di sapere anche combinare nello stretto: contro il Verona, il gol nasce dalla palla che do a Locatelli”.
Dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia con l’Empoli eravate sotto un treno, adesso vedete la vetta.“Il calcio è così. Meglio ragionare di partita in partita. Sono contento di incrociare Retegui, con l’Atalanta: lo conoscevo poco, mi sta colpendo come sia a suo agio davanti alla porta, la sua fame di gol”.
Da bambino, quale poster aveva in camera?
“Nessuno, non ero per queste cose. Però guardo su YouTube giocatori del passato o del presente, attaccanti, difensori o centrocampisti è uguale. Ogni tanto cerco di copiare un gioco di gambe, una veronica. È istinto, è divertimento”.