Tredici minuti che hanno fatto la differenza tra la vita e la morte. Addestramento, calma e rapidità hanno salvato Edoardo Bove, crollato sul prato del Franchi al 17’ di Fiorentina-Inter. “Intorno, erano tutti agitati. Noi abbiamo lavorato tranquilli, sapevamo cosa fare”. Si vede anche nelle immagini della partita: i giocatori e i membri degli staff delle due squadre sono sconvolti, si sbracciano, si mettono le mani nei capelli, chiedono aiuto. Intanto i soccorritori con le tute gialle e arancioni giungono rapidamente, senza badare a nessuno.
La chiave del salvataggio
“Sono passati 30 secondi dalla caduta del calciatore al nostro arrivo”. A raccontare quante cose possono accadere in una manciata di minuti è Giovanni Ghini, presidente della Fratellanza Militare, l’associazione di volontariato che domenica si occupava dell’emergenza sanitaria allo stadio per conto della Fiorentina. Certo, le cure di Careggi sono state importanti e fondamentali saranno gli accertamenti e le eventuali scelte terapeutiche. Però la chiave del salvataggio sta tutta lì, in quello che è accaduto durante quei tredici giri di lancette iniziati di fronte alle migliaia di persone ammutolite nello stadio e a quelle sconvolte a casa, davanti al televisore.
La defibrillazione sull’ambulanza
“Al Franchi avevamo due squadre, una con il medico e due soccorritori, l’altra con tre soccorritori — racconta Ghini, che ha seguito le operazioni da remoto —. Appena il dottore è arrivato dal calciatore ha preso i parametri vitali, valutato lo stato di coscienza, la respirazione e il battito cardiaco. Ha deciso immediatamente, insieme ai sanitari della Fiorentina, che era necessario partire subito per l’ospedale. In 4 minuti Edoardo era già sull’ambulanza”. In campo, il giovane calciatore mostra i segni premonitori di un arresto cardiaco, con parametri instabili. Prima di metterlo sul mezzo con una barella, i sanitari gli applicano le placche del defibrillatore semiautomatico. Inizia così il viaggio verso Careggi, con la scorta di due volanti della polizia. “È durato molto poco, quattro minuti”, racconta Ghini. Durante il trasporto Bove ha una fibrillazione e l’arresto cardiaco. “Lo abbiamo rianimato, il defibrillatore semiautomatico si è attivato per ristabilire il giusto ritmo del cuore. Il trattamento è andato avanti per tutto il tragitto. All’arrivo in ospedale il medico ha riferito quanto accaduto e tutto quello che era stato fatto dalla sua squadra”. Il cuore del calciatore, a quel punto, batte autonomamente e lui respira da solo. “Passata la prima barriera di filtraggio dentro al pronto soccorso, Bove è arrivato nella sala rossa”. Sono trascorsi appena 13 minuti dal malore e finalmente anestesisti e medici di urgenza possono intervenire, in particolare a risolvere lo stato di agitazione del calciatore, tipico di chi è stato rianimato.
“Eravamo preparati”
“Tutto ciò che le squadre hanno fatto non è frutto del caso ma della preparazione, che insegna anche a tenere a bada l’emotività — prosegue Ghini — E probabilmente sarebbe necessario che tanti cittadini in più studiassero almeno le tecniche di soccorso di base. Basta un corso di quattro ore”. Il riferimento è che accade in campo subito dopo il malore. “Non voglio assolutamente fare polemiche ma spiegare come stanno le cose. Si è parlato di calciatori il cui intervento sarebbe stato importante, perché hanno spostato la lingua del paziente a terra. Quelle sono manovre fortemente controindicate, perché pericolose per chi mette le mani in bocca a una persona semi incosciente, che potrebbe dare un morso e provocare ferite. Ma lo stesso paziente potrebbe avere un sanguinamento dalla bocca che renderebbe più difficile il soccorso”.
Perché l’ambulanza non è entrata in campo
Altro punto su cui Cecchi vuole fare un chiarimento riguarda l’ambulanza, che è rimasta in attesa sul bordo del prato e non è entrata, cosa che ha sollevato alcune polemiche. “Esiste un piano operativo di emergenza dove è previsto proprio che l’ambulanza non entri in campo. In situazioni così critiche bisogna evitare qualunque rischio di rallentamento e il mezzo a causa del peso può rimanere bloccato sull’erba. Meglio portarsi l’attrezzatura di soccorso nello zaino, come è stato fatto, eseguire i primi controlli sul paziente e poi portarlo sull’ambulanza”. Tutta questione di protocolli e addestramento.