MILANO – Quando gli verranno in mente quei quattro numeri da digitare sul telefonino, potrà aprire lo scrigno dei messaggi d’incoraggiamento, dei filmati affettuosi, delle voci amiche che non lo hanno mai abbandonato. Evaristo Beccalossi lo sa, tornerà anche lui, il malefico pin, come sta tornando tutto: la capacità di mangiare da solo, il sorriso, la voce roca e al tempo stesso squillante, che sa far ridere e sa far piangere. Piano piano, senza forzare, ha recuperato la coordinazione di quelle gambe magiche, che hanno fatto sognare due generazioni abbondanti di interisti.
I piedi magici che incantavano San Siro
Le gambe del Becca, che guizzavano sul prato di San Siro e negli stadi di tutta Europa, senza che i difensori avversari ci capissero niente. I piedi del Becca, che spostavano la palla come volevano loro, come fossero mani. Il destro, suo piede naturale. Il sinistro, con cui ha imparato a calciare per imitare il suo idolo Sivori. Funzionano bene da seduto. Per recuperare del tutto dovrebbe fare palestra – anzi: deve farla, i fisioterapisti glielo ripetono ogni giorno – ma lui l’ha sempre detestata e continua a detestarla. Non è cambiato, Evaristo Beccalossi.
Dal buio al sorriso
La determinazione, il carattere e la cocciutaggine si sono ridestate subito, dopo i 47 giorni di coma in cui è sprofondato per un’emorragia cerebrale, e da cui è riemerso grazie alle cure dei medici e degli infermieri dell’Ospedale Poliambulanza di Brescia. Ma anche grazie all’affetto di chi c’è stato sempre, anche quando sembrava che non potesse sentire né capire. Fino a quando il suo telefono sarà solo una mattonella nera, ostaggio di quattro cifre che giocano a nascondino da qualche parte nella sua memoria, per Evaristo Beccalossi la finestra sul mondo sarà soprattutto il telefono della figlia Nagaja.
Le voci e i volti degli amici
Da lì sono passati i volti e le parole degli amici, anche nell’interminabile mese e mezzo della luce spenta. Enrico Ruggeri, fratello di una vita, gli ha mandato le note della canzone che gli ha dedicato, “Il Fantasista”. Gli ha inviato la sua voce anche Pezzali, per cui il Becca è un idolo, ricambiato: un tempo era Max ad andare a San Siro per vedere Evaristo, poi il rapporto si è invertito. Lo stesso ha fatto Omar Pedrini, che forse lo può capire più di tutti, tradito da un cuore che non fa il suo mestiere. Ha conosciuto il coma e il risveglio.
I compagni di una vita
È stato fra i primi ad andarlo a trovare in ospedale, quando finalmente si è potuto farlo. Era al fianco del Becca quando lunedì ha festeggiato i 69 anni, insieme al compagno d’area Spillo Altobelli, attivo nella chat dell’Inter campione d’Italia 1979/80 insieme a Bordon e Oriali, anche loro fra i primi ad avergli parlato, quando finalmente dalla terapia intensiva è passato in reparto. Ce l’hanno messa tutta, gli amici, per fargli riaprire gli occhi. Alla fine l’hanno vinta. Ciascuno ci ha provato a modo suo.
La parola magica
Alberto Bollini, commissario tecnico nelle nazionali giovanili di cui il Becca era capo delegazione, gli ha portato le foto dell’Europeo vinto insieme. Nicola Savino ovviamente ci ha messo la voce: “Dai, qui gioca l’Inter, dobbiamo commentare insieme!”. Nazareno Canuti, nei giorni del buio totale, gli ha promesso l’amata “Marlborina”, lui ha avuto un piccolo sussulto, e una delle dottoresse che lo hanno in cura si è convinta che fosse proprio quella la parola magica. Marlborina. Meglio lasciarla stare, però.
Gli azzurrini del Becca
Tramite la moglie Danila, Nagaja e i loro telefoni, sono stati in tanti ad esserci, sempre. Il comico Paolo Rossi, che a Evaristo ha dedicato il mitico spettacolo dei due rigori sbagliati in otto minuti. Il presidente della Fifa Gianni Infantino, che grazie a Beccalossi ha cominciato ad amare il calcio. E i baby giocatori, che il Becca ha accompagnato e cresciuto. Azzurrini, nel frattempo diventati grandi. A ciascuno ha cambiato la vita, almeno un po’, con un consiglio, un sorriso, un esempio.
La fatica dei pedali
Si sono fatti sentire tutti: dai fratelli Esposito a Fagioli, da Bonazzoli a Oristanio, fino a Salcedo. Poi, quelli che l’azzurro lo hanno vestito qualche tempo fa, da Aldo Serena a Roberto Mancini. E anche chi l’Italia l’ha fatta correre in bicicletta, sospesa su 18 millimetri di battistrada: da Stefano Allocchio a Daniele Bennati, maestri di uno sport che il Becca guarda da sempre, con l’ammirazione di chi, sotto sotto, pensa che bisogna essere un po’ matti a fare una fatica così.