LONDRA — Oh capitano, mio capitano. Anzi, capitani, uno contro l’altro. Perché sono due i giocatori con la fascia alla ribalta in Premier. E il motivo di tanto clamore è lo stesso: la religione.
Il primo capitano che ha conquistato tutte le prime pagine sportive è Marc Guéhi, 24 anni, difensore del Crystal Palace. Nato in Costa d’Avorio ma giocatore della nazionale inglese, è figlio del sacerdote della chiesa anglicana St George’s Church of England School, a Gravesend, in Kent. Guéhi è molto religioso, per lui fede e studio venivano prima del calcio da bambino. E così ha sfidato le autorità calcistiche inglesi. Perché “Gesù vi ama tutti”, “Jesus <3 you”, come ha scritto con il pennarello sulla sua fascia di capitano, con “<3” alias un cuoricino. Una fascia peraltro arcobaleno, come da iniziativa della federazione calcistica inglese per sensibilizzare i tifosi sulla lotta all’omofobia e alle discriminazioni.
Le fasce Lgbtq+ in Premier League
Esulta l’associazione Lgbtq+ “Stonewall”, ispiratrice dell’annuale campagna delle fasce arcobaleno “The Rainbow Laces”, promossa dalla Premier League dal 29 novembre a oggi 5 dicembre. “È stato incredibile vedere così tante squadre sostenere la causa per un calcio più sicuro e inclusivo. Tuttavia, quella della fascia è una scelta personale”, chiarisce la stessa Stonewall.
Il riferimento è a Sam Morsy, 33 anni, centrocampista egiziano, musulmano e capitano dell’Ipswich. Che ha sfidato proprio il Crystal Palace di Guéhi, vincitore per 1-0. Ma a differenza del difensore inglese, Morsy si è rifiutato di indossare la fascia arcobaleno. “Per motivi religiosi”, spiega il club: “L’Ipswich sostiene con orgoglio la campagna Rainbow Laces, saremo sempre al fianco della comunità Lgbtq+. Ma allo stesso tempo rispettiamo la scelta individuale di Morsy”. Non ci sta l’ex capitana della nazionale femminile di calcio, Laura McAllister: “Uno con la fascia dovrebbe invece dare l’esempio”, ha tuonato alla Bbc.
Marzaoui del Manchester United
Ma c’è un caso anche al Manchester United. Con il terzino marocchino Mazraoui, pure lui di fede islamica, che si è rifiutato di indossare la pettorina pro Lgbtq+ per il riscaldamento contro l’Everton domenica scorsa. “Non si sentiva a suo agio per motivi religiosi”, ha fatto sapere il club. Allora vi hanno rinunciato anche i compagni, per non imbarazzare Mazraoui ma mettendo in difficoltà la società, che se l’è scampata di circostanza, come l’Ipswich.
Cosa dice il regolamento
Il paradosso per gli attivisti in questo Paese dove l’equilibrio tra celebrazione della diversità e multiculturalismo è sempre delicato, è che Morsy e Mazraoui non sono incorsi in nessuna sanzione. Mentre Guéhi ha rischiato la squalifica perché recidivo, dopo aver espresso il suo amore per Gesù anche qualche giorno prima, in un altro match. Il motivo è regola A4 della Football Association che impone l’assoluto “divieto di simboli o messaggi religiosi su scarpe e divise dei calciatori”. Mentre sono tollerati il segno della croce o l’esultanza di Salah con direzione La Mecca. Alla fine, in questo confuso calderone di fede e diritti, Guéhi è stato graziato, anche perché la campagna Rainbow Laces termina giovedì, grazie a Dio, Gesù o Allah per la federazione inglese. Nel caso, ci si penserà l’anno prossimo.