WASHINGTON – La Juventus definitiva di Igor Tudor ha preso a volare sulle ali di due giocatori in prestito, andando persino oltre agli schizzi di fantasia di Yildiz, il fuoriclasse più definitivo di tutti che qui ha l’ambizione di trovare un posto nella vetrina del mondo, anche se non lo ammetterà mai: «Penso solo al mio lavoro e ad aiutare i compagni», è tutto ciò che gli si riesce a strappare. Non che Kolo Muani o Conceiçao siano più loquaci ma anche loro, come il giovane turco, le loro cose le avevano dette sul campo, lui guidando la squadra con il piglio del leader e quegli altri due mettendo nel gioco pepe e gol, un paio a testa.
Il francese e il portoghese sono in prestito e al momento il loro futuro non si spinge oltre alla deroga che la Juventus ha ottenuto affinché facessero il Mondiale con la maglia bianconera e non con quella del club di appartenenza, rispettivamente Psg e Porto, ma giocando come hanno giocato, hanno dimostrato di avere voglia di restare, di passare dall’affitto a breve termine alla stabilità. Kolo Muani ne ha anche fatto cenno: «Tudor ha fiducia in me e mi piace giocare con i miei compagni e sacrificarmi. Se voglio restare qui? Sì, sto molto bene, riesco a fare gol, quindi lo spero». Lo vuole anche la Juve, certo, ma alle considerazioni tecniche si intrecciano (e spesso si sovrappongono) quelle economiche, nonostante il rinnovo per altri 10 anni, dal 2027 al 2037 del contratto con Adidas per 40,8 milioni all’anno: Kolo Muani può restare se il Psg accetterà di rinnovare il prestito, posponendo la cessione definitiva all’estate prossima, e Conceiçao se il Porto concederà uno sconto sui 30 milioni della clausola rescissoria.
La vittoria sull’Al Ain
Non c’è stato però nulla di precario, o di provvisorio, nel 5-0 sonante con cui la Juventus ha esordito nel Mondiale. Il valore modesto dell’Al Ain (che comunque dovrebbe essere meglio dei marocchini del Wydad, avversari di domenica), è un argomento valido ma non esaustivo, perché finora in nessun confronto fra una squadra europea e una di un’altra confederazione c’era stato uno squilibrio così sfacciato, se non in Bayern-Auckland 10-0. Ma i neozelandesi sono una formazione di dilettanti, quindi quella partita non fa testo. Fa testo invece la leggerezza mentale con cui la Juve è scesa in campo: è sembrata una squadra liberata dopo una stagione soffocante, appesantita prima dall’ansia della prestazione e poi dalla paura del fallimento. All’Audi Field di Washington i bianconeri hanno invece giocato con voglia e leggerezza, senza scorie nei pensieri e forse neanche nei muscoli, visto che prima di alzare il piede dall’acceleratore (il secondo tempo s’è giocato ad andatura di passeggio), nel primo tempo ha tenuto ritmi sostenuti, aiutati anche dal fatto che il caldo non era opprimente, al contrario di quanto accadrà domenica a Philadelphia, con fischio d’inizio a mezzogiorno. «Ma il caldo c’è per tutti, non può essere una scusa», ha tagliato corto Tudor, che non è certo un tipo lamentoso e che sa leggere negli occhi degli altri: «Già dai giorni scorsi avevo la sensazione che i ragazzi ci tenessero, che fossero motivati, sul pezzo, vogliosi, con quell’espressione in faccia da “finalmente si gioca”. Il campo ha confermato le mie sensazioni».