TORINO – La Juventus è una squadra che si dissolve e ci sono molte ragioni alla base della dissolvenza. Alcune (la giovane età della squadra, specialmente) non sono delle colpe ma le conseguenze di una scelta societaria ragionata e che si sapeva che avrebbe comportato dei rischi: se si vuole investire il futuro, bisogna accettare che il presente passi attraverso diverse incertezze. Ma questo è soltanto un aspetto del problema, perché i bianconeri, al di là degli anni che hanno, continuano a denunciare carenze di personalità come in passato, senonché sono proprio i rinforzi più esperti (Koopmeiners, Nico Gonzalez, Douglas Luiz) quelli che stanno deludendo di più sul piano della leadership.
Thiago Motta e il peso dell’inesperienza
Il leader di questo gruppo è Thiago Motta, è lui a stagliarsi al di sopra della squadra ed a lui che il club ha in messo in mano il futuro, perlomeno quello dei prossimi tre anni, trascurando il fatto che anch’egli è ancora molto giovane, per il mestiere che fa, e senza esperienza specifica in una squadra di alto livello. Né Thiago Motta né il suo staff hanno mai affrontato una stagione con tre competizioni da gestire (quest’anno addirittura cinque) e lo scotto della novità tocca che lo paghino anche loro, non soltanto ragazzi che vengono dalla serie C come Mbangula o Savona: la gestione di forze ed energie e la ritaratura mentale della squadra da una partita all’altra non sono il suo forte né possono ancora esserlo, per cui capita che la Juve giochi a Napoli consumando tutto nel primo tempo e crollando nel secondo. E dopo un impegno di Champions, i bianconeri hanno vinto solamente una volta su sette: nel derby arrivate dopo Lille.
Thiago Motta e la tentazione degli alibi
Sabato sera Motta ha alluso al fatto che Conte può preparare le partite per una settimana intera mentre lui no: un tempo queste osservazioni, che somigliano a degli alibi impliciti, neanche le tirava fuori (“Conosciamo dall’inizio il calendario e ci sta bene così”, diceva), così come ha suscitato stupore (e, nei tifosi, reazioni molto più estremi) la constatazione, ripetuta più volte, che la Juventus non vince a Napoli dal 2019, quasi volesse sottolineare che si stava peggio quando si stava meglio. Motta è in evidente difficoltà.
In campionato otto rimonte subite
I pareggi sono il suo percorso, le rimonte subite il suo calvario. Con i tre di Napoli, sono 17 i punti perduti da una situazione di vantaggio, distribuiti in otto partite, senza contare la semifinale di Supercoppa con il Milan. La Juve non si è fatta riprendere soltanto dalle squadre di altissima classifica, ma anche dal Venezia, dal Lecce, dal Cagliari, dal Torino. E non solo in trasferta, ma anche in casa. Significa che i bianconeri sono caratterialmente fragili, non riescono a gestire partite che sembrano avere in pugno, subiscono senza reagire le contromosse degli avversari.
La Juventus ha un problema di personalità
È una questione di personalità, prima di tutto, cui si aggiunge un’inevitabile tensione psicologica, perché più pareggi facendoti rimontare e più hai paura di pareggiare facendoti rimontare. Motta nega che ci sia un problema di questo genere (ma Motta nega praticamente tutto), ma che alla Juve venga sovente il braccino è abbastanza chiaro. Chissà cosa succederà adesso che i bianconeri hanno scoperto che oltre che venire rimontati possono essere sorpassati.
Le sostituzioni strane e Koopmeiners che non esce mai
Ci sono però anche delle cause meramente tattiche o tipicamente calcistiche alla base delle dissolvenze, come i bruschi cali atletici, la gestione mai davvero lineare del turn over e soprattutto quella delle sostituzioni, che raramente portano benefici alla squadra. Motta è strano: dice che l’unico criterio su cui basa le sue scelte è il merito, ma a Bruges sostituisce per primo l’unico attaccante che per sua stessa ammissione ha meritato la sufficienza, Mbangula, e la volta dopo lo lascia in panchina preferendogli gli insufficienti. Spesso le staffette danno l’idea di essere predeterminate (ma l’allenatore dice di no), altrimenti non si spiega perché Koopmeiners non venga quasi mai sostituito nonostante la sfilza di prestazioni negative. I cambi di Thiago Motta hanno avuto grande successo a Lipsia, quando la Juve è rimasta in 10 e lui l’ha ritoccata dandole un assetto ancora più offensivo, ma tante altre volte no, come quando contro il Napoli all’andata ha tolto Vlahovic al 45’ per mettere Weah centravanti, o con il Cagliari ha richiamato i due mediani di sostanza, Locatelli e Thuram, spianando ai sardi la strada del pareggio.
Perché non Vlahovic e Kolo Muani insieme?
Anche a Bergamo Motta ha preferito rinunciare alla fisicità di Thuram, lasciando in campo Koopmeiners e finendo per incassare il pareggio di Retegui, mentre a Napoli ha stupito l’uscita di Yildiz, che stava giocando sicuramente meglio di Nico Gonzalez, e l’impiego di Vlahovic per appena 8’, per altro in staffetta e non in coppia con Kolo Muani. Di sicuro, quasi mai le sostituzioni hanno comportato un aggiornamento tattico della formazione iniziale tarato sul risultato in corso. Ma anche queste cose le si impara con il tempo e l’esperienza.
Una squadra senza passione
C’è poi un ultimo aspetto che non c’entra con la tattica o la maturità, ma con l’anima. Ed è forse il più importante. La Juventus è una squadra che non ha il fuoco dentro, che non dà l’idea di giocare né con la passione di chi vuole sbranare il futuro né con la rabbia di chi vuole sfidare il mondo. È una squadra “fredda”, didascalica, istruita tatticamente, molto prudente ma mai ardente. È passiva rispetto al clima in campo e fuori, nel senso che non è mai lei a stabilire la temperatura emotiva di una partita (come per esempio ha fatto il Napoli nel secondo tempo di sabato).
La Juve e quella furia che non c’è
Non è che manchino impegno e dedizione, ma nessuno si lascia trasportare dal cuore, come se fosse troppo impegnato a rispettare le consegne: è con questo atteggiamento che si fatica ad adattarsi al clima della gara che si sta giocando finendo per subirlo e, di conseguenza, subire la rimonta. Non è un caso che, al contrario, le gare più furenti della Juve – o, meglio, gli spicchi di gara – siano stati quelli in cui c’era invece da rimontare e si trattava di lasciarsi un po’ andare come a Lipsia, nel finale di Inter-Juve o nella rimonta casalinga contro il Bologna. Le squadre somigliano sempre al loro allenatore, e Thiago Motta non sembra in effetti il più passionale dei tecnici.