TORINO – Tudor è un tipo pratico, non gli piacciono né il tempo perso, né le parole inutili «e neanche la preparazione e le amichevoli. Finalmente si gioca sul serio». Il tempo non gli è stato alleato: ne ha avuto pochissimo per sviluppare i lavori estivi e invece non passa mai quello del mercato. Da mesi si ronza attorno ai soliti nomi (le trattative per la conferma di Kolo Muani cominciarono fin da aprile con Giuntoli), alle solite spine (Vlahovic), alle solite speranze di novità che invece ristagnano. Lui, Igor, sta scoprendo una nuova versione di sé, insolitamente zen. In passato non ha mai esitato a levare le tende se c’era qualcosa che gli andava di traverso (detiene probabilmente il record mondiale di dimissioni, segno che non è mai stato attaccato alla poltrona né ai soldi: Hajduk, Karabükspor, Verona, Marsiglia, Lazio), qui sa invece che deve dare libero sfogo sia alla sua parte razionale (la Juve è l’occasione della carriera) sia al lato affettivo della faccenda, perché lui del bianconero è sinceramente innamorato, «anche se, in una scala da uno a dieci, quello conta due, mentre la bravura conta otto. Se non sei capace, essere legato ai colori del tuo club non vale niente».
“Problemi qui come ovunque”
Sta di fatto che Tudor sta facendo professione di realismo: sa che la rosa è incompleta in attacco e difettosa in altri settori, dove sarebbe necessario alzare il livello, ma non fa una piega perché la squadra, così com’è, ha dimostrato di funzionare. «Cosa succederà la settimana prossima non lo so, ma accetto tutto. Sono contento della squadra che ho e ho fiducia nel club. La società conosce i miei pensieri, vediamo cosa accadrà. Non può essere tutto perfetto, altrimenti sarebbe un film: ci sono problemi qui come ovunque, alla Juve e al Real come al Verona, alla Lazio o al Galatasaray».
L’esordio contro il Parma
Dove va quindi collocata la Juventus che stasera debutta contro il Parma dell’allenatore 30enne Cuesta, giovanissimo debuttante? «Sento che ci danno quarti, quinti o sesti e questo può essere solo uno stimolo. Quello che posso dire è che un club come questo non parte per qualificarsi alla Champions e basta». No, il concetto di “obiettivo minimo” non ha mai fatto né mai dovrebbe far parte dei piani della società bianconera né Tudor intende introdurlo proprio ora, figurarsi. Però non sa né può sapere dove può arrivare una squadra che non è molto diversa da quella che tre mesi fa artigliò il quarto posto all’ultimo rigore: è però cresciuta in esperienza, ha riguadagnato Bremer che è stato promosso vice-capitano dopo Locatelli («L’anno scorso questo argomento aveva fatto discutere, quindi abbiamo deciso insieme alla società e al gruppo: dopo loro due, gli altri capitani sono Yildiz, Gatti e Thuram»), punta sui gol di David, abituato a garantirne una ventina, e sulla rinascita di Koopmeiners, che sarebbe uno dei migliori centrocampisti in circolazione, se soltanto riscoprisse sé stesso. L’olandese potrebbe giocare titolare già oggi, proprio al posto di Locatelli. Di elementi per nutrire l’ambizione, insomma ce ne sono, «ma le parole non servono a niente. Mi fanno ridere i giochi mentali di chi ti dà per favorito per metterti pressione: chi se ne frega, non è che se sei favorito la pressione aumenta. Sono finte cui non abbocca neanche un bambino di dieci anni». In definitiva, alla Juve Tudor chiede soprattutto una cosa: «Solidità».