Nel cercare la traccia di una storia comune tra la figurina retrò del Pizzaballa – l’Introvabile per antonomasia – che strizza gli occhi ferito a tradimento dalla frustata del sole, una sgroppata di Domingo il favoloso, al secolo Angelo Domenghini, il contorno placido di Oliviero bomber vero Garlini e l’aura che circonda ora gli astri De Ketelaere e Lookman; si va incontro a un album di famiglia, con tipologie umane che vanno dall’Albero degli zoccoli – non a caso recitato in dialetto bergamasco – fino al territorio dei social, dove in queste ore ai tifosi si chiede “Il tuo Atalanta vs Milan preferito?”, anzi ribadendolo con toni più global la domanda viene posta anche in inglese: “Your favourite Atalanta vs Milan is…?”.
La metamorfosi dell’Atalanta
La verità è che non c’è un momento esatto in cui l’Atalanta ha smesso di essere una provinciale ed è entrata nel salottino dell’élite del nostro calcio, vi è piuttosto una metamorfosi che è ragionevole identificare con l’era Gasperini, cominciata nel 2016 e certificata negli anni da uno status sempre più prestigioso corroborato da un salto di qualità che ha impreziosito la storia del club con la frequentazione della Champions League e la conquista, maggio 2024, dell’Europa League.
Da Regina della provinciali a big
E allora nella sua nuova bolla di potenziale candidata allo scudetto l’Atalanta ci galleggia portandosi dietro tutta la sua storia. Quella che da sempre viene battezzata come la “Regina delle provinciali” – sono 64 le partecipazioni al campionato di Serie A per un club fondato nel 1907 – per decenni ha vissuto la marginalità di chi è ammesso alla festa, ma non avendo il vestito adatto se ne sta in disparte a fare tappezzeria.
Quei piccoli momenti di felicità
Stagioni che conoscevano il loro destino in primavera, quando si facevano i conti della serva, raccattando qua un pareggio utile alla salvezza e là un’imprevista vittoria in casa di una disperata concorrente. Campionati con l’acqua alla gola punteggiati da piccoli momenti di imprevista felicità. Un 3-2 alla Juventus di metà anni 50, gol tra gli altri del brianzolo Luigino Brugola – nomen omen a rimarcare una certa operosità nel dna di famiglia – la conquista della Coppa Italia nel fatidico 1963, vinta nella finale contro il Torino il 2 giugno – tripletta di Angelo Domenghini da Lallio – e subito oscurata da un destino cupo. Il giorno dopo – 3 giugno – se ne va Angelo Giuseppe Roncalli, Papa Giovanni XXIII, il Papa buono, bergamasco di Sóta ’l Munt, Sotto il Monte.
La semifinale di Coppa delle Coppe
E nel ricordo, da generazione in generazione, anche le sconfitte vengono celebrate con l’intima soddisfazione di chi va alla messa con il vestito buono e riserva al se stesso bambino l’epica di un tempo felice: così la cavalcata in un trofeo che non esiste più, la Coppa delle Coppe, con una squadra di piccoli eroi della pedata, da Cantarutti a Nicolini, da Stromberg a Piotti, guidata dal pragmatismo del Mondo, Emiliano Mondonico; un breve sogno collettivo culminato nella doppia sfida (persa) in semifinale contro i belgi del Malines. Celebrare una sconfitta, in effetti, non è da tutti.
Percassi e un club modello
Siamo ai tempi nostri, quelli della programmazione sostenuta da soldi (tanti) e dalla visione del presidente Antonio Percassi, l’ex stopper anni ’70 nato a Clusone Bergamasco che nel 2010 ha (ri)comprato il club (era già stato in carica nel quadriennio 1990-94) e ne ha fatto un modello virtuoso: bilanci sani, un gioiellino di stadio – la “Gewiss Arena” – l’Europa come giardino di casa e una squadra che non ha mai perso l’identità con il proprio territorio, forte della consapevolezza che l’ambizione di grandeur può coniugarsi al senso di appartenenza. Tra tradizione e innovazione, tra orgoglio, business e radici, l’Atalanta – questa è la piccola verità che ci consegna il finale del 2024 – corre per lo scudetto. Perché no? Anzi: why not?