Si impara sbattendo il naso, no? La prima lezione, in effetti, Enzo Maresca la prese sbattendolo contro il pugno di Leonardo Perez, attaccante grande e grosso abituato a scorazzare tra la B e la D. Siamo ad Ascoli, è il 2017, Maresca non ha ancora il patentino e formalmente non può fare l’allenatore in prima, per cui il suo primo incarico ufficiale è: vice di Fulvio Fiorin. Ha già il suo carattere ma ancora molti dogmi (prova a convertire il rude Ascoli in una squadra di palleggiatori: un disastro) e troppe fiammate emotive, le stesse che aveva da giocatore (ricordate le corna dopo un gol al Toro?), forse le stesse di Perez: i due vengono alle mani, quello gli molla un pugno, il club lo sbatte fuori rosa ma quando lo reintegrerà Maresca darà le dimissioni. È novembre e nel frattempo s’è diplomato a Coverciano con una tesi sul calcio e gli scacchi. Da lì farà un lungo giro: vice di Montella al Siviglia, vice del suo mentore Pellegrini al West Ham, master in “guardiolismo” nella primavera del City e nel 2021 di nuovo la B, stavolta il Parma e di nuovo una nasata in un novembre fatale: 13 partite, 17 punti, quattordicesimo posto, esonero.
I primo tempi non facili da allenatore
«Ci rimase malissimo», ricorda Alessio Tacchinardi, suo ex compagno alla Juve, «perché avrebbe voluto più tempo. Aveva le convinzioni dei nuovi allenatori che pensano di essere già bravi, ma capì di non essere ancora pronto: si rimise in discussione ripartendo da Guardiola, ma poi ha fatto la sua strada». Anche a Parma era ancora dogmatico, predicava un calcio probabilmente utopico e senz’altro guardiolano. Ma Pep lo si può studiare, non imparare. La seconda nasata è stata decisiva, perché la vocazione per il gioco propositivo ma l’ha modulata con i principi dell’italianismo: ha mescolato gli stili, raffinandoli entrambi. «Ha battuto il Psg pressando come Luis Enrique, sviluppando gioco alla Guardiola e difendendosi all’italiana, con blocco basso e marcature strette», spiega Tacchinardi. E, all’italiana, ha studiato nei dettagli l’avversario per stanarne il punto debole, «al contrario dell’Inter che non aveva un piano B e si è suicidata tatticamente per 90’». È ciò che Maresca ha imparato dagli scacchi, che, dice «ti aiutano a ideare strategie, a controllare l’eccitazione se stai vincendo e a pensare lucidamente nel pericolo».
Un carattere focoso diventato più tiepido
Devono pure avergli intiepidito il carattere del focoso impaziente che è sempre stato: a 18 anni andò al West Bromwich perché campa cavallo se da noi a quell’età ti fanno giocare, a 25 si stufò di aspettare che la Juve credesse in lui e si unì al Siviglia, squadra tra le più focose al mondo. Anche da allenatore ha cominciato con impazienza. Poi ha sbattuto il naso, si è seduto alla scacchiera e in un anno ha vinto un campionato (la Premiership col Leicester) e due coppe, l’ultima con la raffinatezza del contropiede.