Soltanto i martelli non sognano altro che battere un chiodo per tutta la loro esistenza. Alle creature sensibili, con anima, curiosità e a volte stanchezza di sé viene spontaneo il desiderio di una seconda vita, dopo la prima o anche durante, completamente diversa dall’altra. Capita così che l’ex campione di sci Ingemar Stenmark si dedichi, a quasi settant’anni, al salto con l’asta, pure con (relativamente) buoni risultati nella categoria Master, il modo più elegante fin qui trovato per dire vecchi. Che l’ex calciatore Diego Forlan ci provi con il tennis debuttando in doppio, a 45 anni, tra i challengers dell’Uruguay (seppur perdendo 6-1 6-2). E che, questo mi fa particolarmente tenerezza, il conduttore televisivo Giovanni Floris prenda il patentino da allenatore che gli consente l’accesso a qualsiasi panchina fino alla Serie D, ma anche la possibilità, tra una trasmissione e l’altra, di collaborare, per dire, con Nicola per provare a salvare il Cagliari.
C’è che la vita sportiva a un certo punto finisce e non si dovrebbe mai morire prima di morire. Inventarsene una seconda in un diverso campo non è facile. Un neurologo dello sport ha scritto un libro per spiegare perché, per quanto si allenasse, Michael Jordan non poteva battere con la mazza da baseball ottenendo gli stessi esiti di quando tirava a canestro. Sono due nazioni diverse, non puoi regnare in entrambe. Il talento è un figlio unico, proprio per questo è un dono e una condanna. Però, dopo anni passati a tenere gli sci aderenti al suolo, è intuibile la gioia che può provare Stenmark staccando l’ombra da terra, finalmente leggero. Ecco, la leggerezza: non dover più essere il migliore, non spingersi al limite e oltre, ma giocare con il proprio corpo, il risultato, il tempo.
Forse, smettendo e poi imitando Forlan al contrario, Agassi si sarebbe risparmiato tanto stress. Finché sei giovane sperimenti, aspetti una vocazione che poi chiamerai scelta. Sinner era in teoria un fenomeno anche sugli sci e con il pallone, ma nella pratica poteva diventarlo soltanto con la racchetta. Il giorno in cui smetterà e riprenderà a scivolare sulla neve o tirare contro la rete anziché sopra non vincerà, magari ritroverà la serenità perduta aspettando Losanna. La vita è quel che resta dopo ogni bivio. Alla fine di una strada difficilmente se ne apre un’altra, ma restano piacevoli sentieri nell’ombra. A pochissimi è dato rinascere, meglio innamorarsi del proprio destino. Eppure quanto spesso penso, in ordine sparso, a Raf Vallone: calciatore, poi giornalista, infine attore.