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La vita di Schroffenegger: “Con un buco nel polmone non ho smesso di parare”

Intervista al portiere del Como Women e dell’Italia: “Non parlavo, mi mancava il respiro, pensavo a un infarto. Operata d’urgenza, sono guarita e rientrata in campo. Vorrei tornare in Nazionale, non ho pretese ma credo di meritarlo per il mio percorso: sono l’ultima a mollare”

È la prima volta che racconta la sua storia. Katja Schroffenegger, 34anni, è una calciatrice del Como Women e della nazionale azzurra. Gioca in porta, è altoatesina, nata e cresciuta a Cornedo all’Isarco, paesino alle porte delle Dolomiti. Ha avuto esperienze in Germania (Jena, Bayern Monaco e Leverkusen) e nel campionato italiano (Südtirol, Inter, Fiorentina, Como). È appena rientrata da un lungo stop.

Lei a gennaio del 2025 stava recuperando da un incidente al tendine d’Achille.

«Sì nel settembre 2024 ero stata operata. Il 16 gennaio ero al secondo allenamento in campo. Nessuno sforzo, stavo camminando quando non sono più riuscita respirare. Male al petto, niente fiato, non sono più in grado di continuare, nemmeno in apnea. Dico a Enrico Paleari che si stava occupando della mia riabilitazione che voglio andare a casa, ma lui non mi vuole lasciare sola e mi porta in palestra. Anche lì continuo a stare male, non riesco a parlare, lo prego di avvisare il mio fidanzato Francesco che lavora tra Bologna e Ferrara e non i miei che da buoni montanari mi avrebbero detto: fatti un grappino».

Va al Pronto Soccorso di Vimercate, vicino a Monza.

«Mi ci porta Enrico. Dico subito: ho avuto un infarto. Sono in affanno. Mi esaminano e mi dicono che ho un cuore sanissimo. Aspetto altre quattro ore, mi visita il radiologo, poi passa una dottoressa che mi informa: ti è collassato un polmone, per stanotte starai qui. Mi chiede se ho visto in qualche film su cosa si fa in questi casi e aggiunge: ti farà male, ma non durerà molto. Capisco che è uno pneumotorace, ho un buco nel polmone, sono come una gomma floscia, devono drenare aria con un tubo, mi aprono sul fianco, sotto l’ascella. Fa veramente male, molto. L’indomani mi danno un foglio da firmare, ho una forma grave, serve operare e attaccare il polmone alla parete. Quattro giorni dopo entro in sala operatoria».

Non era un infortunio sul lavoro.

«No, quelli li avevo già avuti. Nel 2011 mi sono rotta il polso destro, anche se sono mancina per chi sta in porta non è il massimo. I dottori erano pessimisti e consigliavano di fare altro, non mi ritenevano più all’altezza del ruolo. Appena rientro tocca al pollice destro, nel 2013 ho un problema al crociato anteriore. Sto ferma un anno, nel 2016 torno a casa, lascio la Germania. Nel 2017 partecipo all’Europeo, ma al ritorno sento che c’è qualcosa che non va. Sembra un’infiammazione al tendine rotuleo, ma dopo cinque mesi sento ancora male, la diagnosi non mi convince. Mi affido al dottor Luca Gatteschi, allora medico dell’Udinese, e al suo staff personale. Viene fuori qualcosa di peggio: ho un buco nel tendine. Nel frattempo non faccio solo la calciatrice, ho altri lavori, mi occupo di marketing per la provincia di Bolzano. Nell’estate 2018 sono all’Inter e arriva il problema al tendine d’Achille, torno da Gatteschi. Nel ’24 vado al Como Women in serie A e dopo una settimana fa crac il tendine, sempre lo stesso, mentre faccio uno scatto».

Si sarà fatta domande.

«Le cose succedono, non maledico nessuno. Chi fa sport è abituato: se c’è un problema, si cerca la soluzione. Da noi in montagna si spacca la legna e si taglia il fieno, si provvede alle necessità, senza tanto inveire. Chi mi ha operato al polmone ha detto che sarei guarita, ci voleva tempo e pazienza e mi ha rassicurata: la recidiva è estremamente rara. Non è stato facile riprendermi, sdraiata avevo male, per un mese non sono riuscita a girarmi nel letto, né ad alzare il braccio, dormivo seduta. L’unico esercizio che potevo fare era soffiare su delle palline. La società mi è stata vicina, ma di quello che mi era capitato io non ho mai parlato con nessuno. Niente social, niente discorsi, poche telefonate. Avevo il fiato corto e mi volevo concentrare sulla ripresa, tutte le mie energie andavano in una sola direzione: tornare a giocare».

Perché ne parla ora?

«Per dare una testimonianza che possa essere utile a chi si ritrova sola. A parte il dolore fisico, quello che ho sofferto di più è stata la mancanza di informazioni, non avere nessuna con cui scambiarmi esperienze. Se uno sportivo si opera al menisco, alla caviglia, al crociato può chiedere ai colleghi: quali sono i tempi di recupero, come ci si sente, cosa è meglio fare. Ma nel mio caso non c’era letteratura, nelle donne i casi sono pochissimi, tra gli uomini ci sono stati, ma in forme più lievi. Christian Maggio, calciatore del Napoli, nel 2014 è stato vittima di uno pneumotorace dopo un trauma in allenamento e l’anno scorso l’ivoriano Evan Ndicka si è accasciato a terra con dolori al petto durante Udinese-Roma per lo stesso problema. Ne ha sofferto nel 2017 ed è stato operato anche Daniele Garozzo, campione olimpico di fioretto».

È tornata in porta più contenta o soddisfatta?

«Cambiata nella testa. Più saggia, più padrona dei miei nervi. Ho ancora sogni che mi guidano e a cui non voglio rinunciare. Gioco a pallone da quando ero una bambina, ricordo come si sono sentita felice quando al Bayern incontravo in mensa leggende come Neuer e Ribéry. Ma ecco, quando oggi sento parlare di un crociato operato come una grande tragedia per la carriera, mi dispiace per chi ne è vittima, ma sorrido. Un conto è avere un guaio che ti ferma l’attività, un altro è se qualcosa ti interrompe la vita».

Ha partecipato all’ultimo stage della nazionale.

«Sì ma non ho fatto parte della squadra che ha giocato le partite della Nations League. Il mio rapporto con il ct azzurro Andrea Soncin è buono, è un uomo pieno d’umanità, e capisco perfettamente che non posso accampare pretese. Però mi dico che forse il mio percorso andrebbe valutato diversamente».

Come?

«Non sarò la giocatrice che ha vinto più titoli, né quella con più medaglie o con più convocazioni. Nella lista dei record il mio nome non ci sarà, però torno sempre, sono l’ultima a mollare».

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