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L’Europeo e i due modi per vincere: è sempre più risultatisti contro giochisti

Gioco e gol per Spagna e Olanda, difesa e zero spettacolo per Francia e Inghilterra: le strade diverse per la finale

MONACO – La Spagna è la squadra che ha fatto più gol (11) assieme alla Germania, poi viene l’Olanda con 9. L’Inghilterra ne segna invece a stento uno a partita (e ha giocato un’ora di supplementari), la Francia uno ogni due ore e quaranta minuti: a guardare la media realizzativa, hanno fatto peggio solamente Belgio, Danimarca, Slovenia e Serbia, anche se nessuno di loro ha Mbappé. Gli inglesi, almeno, su azione hanno segnato, al contrario dei francesi, che sono andati avanti a colpi di autoreti (2) e rigori (1), così da permettersi di fare gli spiritosi: “Speriamo di vincere 0-0 anche contro la Spagna”.

Le due strade per la semifinale

Le statistiche più basilari raccontano in maniera grossolana, ma efficace, che ci sono state due vie diverse per arrivare alla semifinale: il largo sorriso e il corto muso. Quest’Europeo, come mai nessun altro prima, sta diventando una sfida tra risultatisti e giochisti (categoria cui si possono iscrivere Austria, Svizzera, Slovacchia), anche se poi i secondi non provano sentimenti avversi (disprezzo? invidia?) verso i primi. “Il calcio mi diverte sempre, che si tratti della Francia o di un’altra squadra. Non mi annoio mai a vedere una partita”, dice lo spagnolo Luis De la Fuente, il ct della nazionale più scapigliata, quella che ti terrebbe sveglio anche se giocasse tre ore di fila, al contrario di Inghilterra e Francia, alle quali gli aggettivi che più di frequente vengono abbinati sono boring e chiante, noiose. Ma Southgate e Deschamps sostanzialmente se ne fregano e dicono entrambi la stessa cosa: “In queste competizioni, equilibro e solidità sono la cosa più importante”. Alla vigilia della semifinale, l’aggettivo l’ha sfoderato un giornalista svedese e Dédé s’est moqué, come dicono i francesi. L’ha deriso: “È sicuro di essere svedese? Non è che per caso abita in Francia? Se si annoia, comunque, guardi qualcos’altro, non è mica obbligato. Noi vogliamo rendere felici i francesi con una vittoria in un momento complicato per il Paese. Se gli svedesi si annoiano, beh, non è che me importi granché”.

I numeri che parlano

Oltre a segnare, la Spagna è anche la squadra che tira di più in porta (7,2 volte a partita). La Francia supera di poco le 4 come l’Olanda, che però non ha fatto supplementari. L’Inghilterra è 19esima a 3,2, appena sopra l’Italia: anche questi numeri parlano. Quattro dei suoi 5 gol li ha segnati proprio al primo tiro in porta, e se quelli contro Serbia e Danimarca sono arrivati abbastanza presto, con Belgio e Slovacchia sono serviti per afferrare la partita con la coda. Prima, il nulla. La rete non arrivata al primo tentativo è stata quella di Kane agli slovacchi, nei supplementari: era il secondo tiro. Che avarizia, questi inglesi.

Le statistiche definiscono quel che si vede a occhio nudo. La Spagna è uno spettacolo, anche se contro la Germania ha dimostrato di sapere pure soffrire e battagliare (con 39 falli fischiata, è stata la partita più spigolosa dal 2016) e finora ha incassato appena due reti. L’Olanda è l’Olanda, fa e disfa, ma dopo un avvio col freno a mano tirato ha scoperchiato il suo atavico spirito offensivista, anche quando ha perso (2-3 con l’Austria). De la Fuente e Koeman il gioco lo cercano, sono rapidi e verticali, attaccano anche con i terzini. “Giocano”. Deschamps e Southgate, invece, usano i giocatori, più che il gioco. Già alla vigilia, Francia e Inghilterra erano considerate le formazioni più ricche di talento e con più di un fuoriclasse accertato, mentre il fenomeno della Spagna è un mediano difensivo, Rodri (ma Williams e Yamal hanno cambiato status proprio in questi giorni), e quello dell’Olanda un campione ancora a metà e nel suo club spesso riserva, Gakpo. Eppure i due allenatori con la materia prima più preziosa assieme al tedesco Nagelsmann (giochista che avrebbe voluto essere risultatista) sono pure quelli che stanno giocando peggio, anche se con delle differenze sostanziali: Deschamps ha organizzato un meccanismo difensivo che nessuno è ancora riuscito a scalfire (un solo gol subito, il rigore di Lewandowski, provocato da una leggerezza fuori contesto di Upamecano), con Saliba miglior difensore del torneo (prima di venire in Germania non era titolare), mentre Southgate cerca di controllare il gioco e di tenere i ritmi bassissimi in attesa dell’invenzione di uno dei fenomeni, cosa che è in effetti è accaduta: Bellingham e Kane hanno realizzato due gol a testa, Saka uno.

I ct criticatissimi o amati

Deschamps e Soutghate sono massacrati dai giornali e soprattutto dalle voci tecniche, gli ex calciatori. Il francese se ne sbatte abbastanza così come i francesi, intesi come telespettatori, tutti ardentemente seguaci della religione del “vincere è l’unica cosa conta”, mentre l’inglese, oggetto di critiche ferocissime (Lineker è arrivato a dargli dell’inetto) la sta vivendo male, patisce, reagisce. “A livello umano sono settimane pesantissime, sto subendo attacchi di ogni genere”. È stanco e si vede, nessuno pare ricordarsi che è di gran lunga il miglior ct della storia del calcio inglese (una semifinale e un quarto di finale mondiali, una finale e una semifinale europee) e a tratti sembra il Bearzot dell’82: per reagire agli attacchi si è chiuso in un fortino e la squadra si è asserragliata con lui, trovando un’unità e una compattezza saldissime che in campo si notano eccome, mentre i francesi appaiono meno monolitici: più che saldati, sono solidi.

De la Fuente, lui, è in luna di miele con i media, risponde alle domande chiamando per nome il giornalista che le pone, è tutto sorrisi e pacche sulle spalle.

Il “mezzogiochista” Koeman è invece in rotta con la stampa, ma i feroci dibattiti tattici sono una vecchia tradizione dei giornali olandesi che hanno una sola teoria: bisogna giocare come giocava l’Ajax, tutto il resto è eresia.

Il fatto che siano arrivate tutte e quattro in semifinale vuol dire che hanno tutti ragione, risultatisti e giochisti. E ognuno, a suo modo, ce l’avrà per sempre. È il bello del calcio, no?

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