ROMA – Le strisce non sono più solo strisce. E certi dettagli — come un diavolo stilizzato, un taglio vintage o un motto stampato sul colletto — bastano a riscrivere intere identità. Le maglie della serie A per la prossima stagione raccontano, più di ogni slogan, dove sta andando il calcio contemporaneo. Non tanto quello del campo, ma quello che si gioca fuori: tra marketing globale, appartenenza territoriale, bisogno di riconoscersi in qualcosa che dia certezze.
La maglia come identità
È un paradosso che si ripete da qualche anno: nel momento in cui il legame tra tifosi e squadre sembra sempre più fragile, tra proprietà straniere, giocatori itineranti e calendari cervellotici, le maglie diventano presidio di identità. E anche per questo attingono sempre più spesso dalla storia, dal passato.
Il Parma ricorda Zola e Stoichkov
Il Parma rievoca il 1925, la sua prima partecipazione in massima serie e poi ripropone la terza maglia “spray” del 1995/96, quando Zola e Stoichkov vestivano Puma in una squadra costruita all’epoca per provare a vincere lo scudetto. Il Milan riporta il diavoletto sul petto: debuttò sulle divise rossonere subito dopo il 10° scudetto per sparire con l’arrivo di Berlusconi. La Juventus reintroduce il rosa, il colore delle origini. La Fiorentina cita il periodo di Batistuta, Rui Costa e Trapattoni, l’Udinese la storica stagione in Champions. La Roma riprende i toni caldi dell’epoca di Totti e Völler.
Il Bologna cita Árpád Weisz
È un movimento che fa leva sul ricordo condiviso. Ma non è solo una questione di estetica. In un calcio in cui il giocatore bandiera è diventato una rarità, le società hanno bisogno di nuovi strumenti per tenere vicino il tifoso. E la maglia è diventata il veicolo più diretto. Frasi che diventano slogan vengono inserite nei colletti — “Lo squadrone che tremare il mondo fa” per il Bologna, “Fratelli e sorelle del mondo” per l’Inter, “Emozioni neroverdi” per il Sassuolo — e simboli locali nascosti nei dettagli, come le foglie sarde del Cagliari, i marmi del Torino e i mosaici della Lazio. Per rafforzare l’identificazione con il tifoso-cliente.
Le maglie si presentano sui social
Il 2025 è anche l’anno delle campagne social, girate come mini film: il Genoa che sfila per i carruggi su una Vespa, il Cagliari tra le querce secolari e il Napoli declinando la tradizione teatrale partenopea. È la narrazione visiva a dominare. E ogni lancio diventa contenuto da condividere e taggare. Anche questo è un segno del tempo: la maglia è diventata un oggetto culturale, non solo tecnico. Si indossa anche fuori dallo stadio, si colleziona, si interpreta.
Un mercato da 5 miliardi
Ma quanto vale questo enorme circo che vende emozioni da indossare? Secondo uno studio di Sponsoring Extra del 2023, il mercato globale delle maglie da calcio produce un giro d’affari di oltre 5 miliardi di euro e cresce in media dell’8% all’anno. Ma se oggi l’Asia è l’El Dorado del mercato delle divise da calcio, in Italia il potenziale resta alto ma inespresso. C’è un’area dove il nostro Paese è in netto ritardo: il licensing. Pochi club sanno usare il proprio marchio oltre il calcio, legandolo a prodotti di largo consumo. Un’eccezione interessante è il Como, che sta costruendo un’identità globale attraverso il merchandising: collezioni firmate Rhude, partnership con Hublot e Bric’s, perfino una vetrina da Harrods a Londra. Nella squadra più alla moda della serie A, dove sfilano Hugh Grant e Keira Knightley, anche lo store online sembra una boutique. A proposito: realtà come Barcellona o Bayern hanno trasformato i propri negozi in veri concept store che oltre a vendere prodotti brandizzati offrono spazi e occasioni di intrattenimento. Al contrario, molti club italiani faticano ancora a strutturare una filiera di prodotto efficace, mentre devono fronteggiare il mercato parallelo del falso, che offre ai tifosi un’alternativa — illegale — ma a portata di tasca.