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Mancini divorzia dall’Arabia, cresce solo il conto in banca

Il tecnico marchigiano rescinde il contratto con la nazionale araba un anno dopo aver lasciato la panchina dell’Italia

Mai rovinare una bella storia con l’avidità. Nella citazione leggendaria sarebbe “con la verità”, ma niente svela un uomo quanto la sua disposizione a mettere il cartellino del prezzo all’alluce, nell’obitorio della propria dignità. Così scompare dai radar su cui l’abbiamo seguito, dalle sue reclamizzate Marche all’Arabia infelix, Roberto Mancini. E adesso, ricco uomo? Trenta milioni purché smetta di fare il suo lavoro e prenda il primo volo da Riad sono il più regale degli affronti. Altrettanto regale sarebbe lasciarli sul tavolo e accomodarsi in classe economica: è andata così, non ha funzionato, mi avete già strapagato per il primo anno, può bastare, sto bene di mio, arrivederci e grazie. Invece.

La bellezza dei ricordi spazzati via

La nuvola di sabbia che si alzerà al decollo non si porterà via niente. Il tempo trascorso da Mancini in Arabia Saudita rievoca la definizione che Ernesto Che Guevara (si perdoni l’accostamento) diede del suo in Africa: l’anno in cui non siamo stati da nessuna parte. Non ha vinto la Coppa d’Asia, non stava andando ai Mondiali, non stava conquistando niente e nessuno. La nuvola di sabbia che si era sollevata all’atterraggio, quella sì che aveva spazzato via una gran bellezza di ricordi. C’eravamo tanto amati, con Roberto Mancini. E in quanti.

L’abbraccio con Vialli a Wembley

Da Bologna dove debuttò a 16 anni e quasi salvò la squadra da solo, a Genova dove vinse come nessuno prima, insieme con un fratello per scelta, a Roma con la Lazio, poi in panchina per le coppe a Firenze, gli scudetti a scoppio ritardato nella Milano interista, quello incredibile fuori tempo massimo al Manchester con il City. Da riempire di soddisfazioni tre vite. E la più grande di tutte, non l’Europeo, non essere stato il quinto ct italiano ad alzare una coppa, ma l’abbraccio con Gianluca Vialli, a Wembley: a quanti la storia consente di prendere il filo e riannodarlo dove si era spezzato? Che grazia ricevuta e, riconosciamolo, quanto merito nell’aver plasmato quella squadra. Mancini aveva il potere di organizzare le feste, ha voluto quello di farle fallire.

Quando hai avuto tutto quel che desideravi puoi voler scoprire che effetto fa quel che non avevi desiderato mai. Fermi tutti, però. Non aveva mai avuto un Mondiale. Non da giocatore: Bearzot, Vicini, Sacchi non glielo fecero giocare. Indisciplinato, inclassificabile o intanto era sbocciato Baggio. Doveva andarci da allenatore dell’Italia campione d’Europa, ma non c’è riuscito. Gli era stata concessa una seconda opportunità: è sparito in un torrido agosto per sbarcare dove fa un caldo assassino tutto l’anno.

Quelle cose che non hanno prezzo

Non si fidava della Nazionale italiana e quella saudita gli è sembrata una scorciatoia per il 2026? Capisce troppo di calcio per un equivoco del genere. Voleva dare uno schiaffo alla federazione? E allora torna alla Sampdoria da Cincinnato che si concede l’ultima guerra. L’ha fatto soltanto per soldi? Ma quando passavano gli spot, tra la consegna di un pacco postale e una facile ristrutturazione, ha mai notato la pubblicità di quella carta di credito che ammette “ci sono cose che non hanno prezzo”? Con trenta milioni in più non si rivivono le notti a Marassi o a Wembley, si aumenta il saldo di un conto corrente da sbattere in faccia a un giornalista giapponese. Nella vita, e più s’allunga, il piacere è un ricavo marginale decrescente. Non è dato dall’incremento delle stesse voci. È nel ritrovare un senso, nella consapevolezza di non aver smentito sé stessi, nella rinuncia di slancio in nome del sentimento. A Mancini che torna si può soltanto augurare che gli capiti ancora di provarlo, a costo di pagarlo.

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