”Preparati per il 14 agosto, c’è una partita da arbitrare”. Estate 2019, periodo di vacanze, ma non per Manuela Nicolosi. Quel messaggio non si riferiva ad un match qualunque: Liverpool-Chelsea, Supercoppa Europea. ”E io che pensavo ad un’amichevole, o al massimo ad una gara della Serie B francese”. Sarebbe stato invece l’apice della sua carriera che l’avrebbe portata a diventare fischietto internazionale nel 2010 e prima italiana ad arbitrare una finale di Coppa del Mondo femminile. In “Decido Io – Dal sogno alla Supercoppa: il coraggio di rompere gli schemi”, Roi Edizioni. Nicolosi racconta come, nella sua vita, abbia abbattuto barriere che sembravano insuperabili e sfatato tabù legati a un mondo del calcio fatto ancora di vecchi stereotipi.
Manuela Nicolosi, la sua crescita nel mondo arbitrale è stata in Francia.”Il mio trasferimento in Francia era nato sia per motivi di studio (Erasmus), sia perché in Italia, in ambito arbitrale, avevo raggiunto il massimo livello regionale. Prima avevo ricevuto supporto e incoraggiamento dai colleghi, poi mi è stato fatto capire che avrei dovuto accontentarmi perché, a livello nazionale, la figura della donna ancora non esisteva. E’ a quel punto che ho deciso di tornare in Francia”.
Più rammarico o soddisfazione dietro questa scelta?”Ero sicuramente dispiaciuta perché il mio sogno era quello di arbitrare in Serie A, però ho capito che davanti a me avevo un muro. Ma anche in Francia inizialmente ci sono state difficoltà legate non solo al fatto di essere donna, ma anche italiana. La svolta è stata quando ho deciso di diventare assistente, perché solo in quel ruolo sarei potuta arrivare dove mi ero prefissata. E infatti nel 2010 sono stata nominata miglior arbitro della Serie A femminile. In quel momento ero la più forte a livello atletico e questo mi ha permesso di diventare anche arbitro internazionale quando si liberò un posto”.
Il sessismo è ancora radicato nel mondo del calcio?”Sì, me ne accorgo quando vado a vedere qualche partita. È purtroppo il riflesso di quello che succede nella società: gli insulti che una donna riceve sia in campo che dagli spalti, sono gli stessi che si subiscono quando si prova a fare qualcosa apparentemente riservato agli uomini. Per ferirti non ti attaccano sulla tua professionalità, ma sul fisico o sul personale. Uguale sui social: il 95% dei messaggi che ricevo sono di complimenti, ma c’è sempre una percentuale di persone che ti criticano sul corpo o sulla fisicità. Spesso in campo succede la stessa cosa, e purtroppo negli anni non ho visto grandi cambiamenti. Penso all’episodio di quest’estate con protagonista Filippo Penati: ha vinto una medaglia di bronzo ai Mondiali di nuoto artistico, ma è stato preso di mira per aver usato il trucco agli occhi. Serve un cambiamento sociale”.
Essere una bella donna le ha creato più vantaggi o problemi?
”È stato assolutamente un ostacolo. Un mio capo francese che non voleva facessi carriera perché ero troppo visibile. Ma anche altri responsabili hanno avuto da ridire sulla lunghezza dei capelli o sul fatto che attirassi troppo l’attenzione. Questo perché, per loro, il prototipo dell’arbitro era uomo, muscoloso, rigido, severo. Ma io volevo rimanere me stessa senza rinunciare ai miei obiettivi”.
E torniamo alla Supercoppa Europea maschile Liverpool-Chelsea in Turchia.’Il pubblico di Istanbul, all’ingresso in campo, ha accolto me e le altre due donne (l’arbitro Stephanie Frappart e l’assistente Michelle O’Neill) con un grande applauso, questo è stato di grande aiuto. In quel match ricordo di aver segnalato diversi fuorigioco ad Oliver Giroud, che si arrabbiò molto e finì per essere sostituito”.
L’atteggiamento di un arbitro cambia in base all’importanza dei giocatori in campo?”Nel mio caso no. Quando inizia la partita per me tutti sono uguali, guardo il colore della maglia, non il cognome. Per esempio, in Liverpool-Chelsea per me erano semplicemente rossi contro blu”.
Qualche calciatore le ha mai chiesto di uscire?”Sì, è successo ma mai in campo. Ci sono stati messaggi con avances al termine dei match, però ho sempre preferito non mischiare il professionale con il sentimentale”.
Che ne pensa delle spiegazioni pubbliche dell’arbitro con il microfono?”Io l’avevo già sperimentato nell’ultima Coppa del Mondo femminile in Australia. Inizialmente è complicato perché la comunicazione è totalmente diversa rispetto a quella che si ha con i calciatori. Basta vedere Manganiello in Como-Lazio. La ritengo però una novità positiva perché si dà più trasparenza al ruolo degli arbitri.
Il Var a chiamata vincente in C arriverà nella categorie superiori?”Io sono a favore perché permette di rivedere delle situazioni non previste dal protocollo dell’Ifab. Ed è giusto che ci siano solo due chiamate perché altrimenti gli allenatori chiederebbero in continuazione l’intervento del Var. Io lo introdurrei anche in Serie A”.