Marco Civoli ha raccontato il trionfo nel 2006, il primo Mondiale degli azzurri dal 1986 non più narrato dalla voce di Bruno Pizzul.
«Ma a lui di non aver mai “vinto” il Mondiale non importava nulla. Era una persona capace di emozionarsi e di far tracimare la sua emozione al di là dello schermo».
La successione tra voi non fu diretta.«Tra lui e me come prima voce della Nazionale ci sono stati Gianni Cerqueti e Stefano Bizzotto. Io ho seguito gli azzurri dal 2004 al 2010. Prima ero stato all’Under 21. E gliela avevo anche ceduta molto volentieri ai Giochi di Atlanta ’96, le mie prime Olimpiadi».
Tre partite e a casa l’Italia, allora.«Ma lui si reinventò immediatamente esperto di vela. Prese un operatore e andò a Savannah a raccontare le imprese di Alessandra Sensini. Bruno era così: studiava, si documentava, sapeva di sport come pochi».
Qual è stata la dote maggiore di Pizzul?«La sua umiltà. Ha chiuso la carriera da inviato, ma fino a poco tempo prima era stato redattore ordinario. Non era la carriera quello a cui puntava. Però è arrivato al cuore degli italiani senza mai alzare la voce, così in controtendenza con le abitudini di oggi. E pochi sanno che dopo la Nazionale Bruno ha chiuso con le bocce».
Ce la racconti.«Per quanto sembri incredibile, ha fatto la telecronaca di alcuni incontri di bocce. Era una sua passione, ne capiva. All’epoca la Federazione ci spediva delle cassette da mandare in onda e lui si calò immediatamente nella parte. Con competenza, inutile dirlo, straordinaria».La sua vita milanese da cosa era scandita?
«Dalle pedalate in centro: non aveva la patente, viveva in via Losanna, non lontano da corso Sempione, dov’è la sede Rai di Milano. Aveva il suo ufficio, lavorava fino a tardi. E poi, con la redazione semivuota all’ultim’ora sentivi la sua voce provenire dal fondo: parlava in friulano con la madre, era l’ultima telefonata della sua giornata. Incomprensibile a tutti noi. Era il segnale, quella telefonata, che un’altra giornata di lavoro era finita. Sono stato a Cormons nel 2018 per i suoi 80 anni: la banda, gli amici, una bella giornata a pane, salame, come piaceva a lui».
Che rapporto aveva con i calciatori?«Stupendo: lo era stato e capiva come trattare con loro, quasi da pari a pari. Era anche molto rispettato da loro, anche per via della sua fisicità. Era un rispetto meritato sul campo: era un giornalista pacato, ma con la schiena dritta, che non faceva sconti a nessuno. Ha amato molto Roberto Baggio. E Platini».
La sua telecronaca della finale dell’Heysel resta un capolavoro di giornalismo televisivo.«Impeccabile. Ne parlava con le lacrime agli occhi e i brividi sulla pelle a distanza di anni. Si trovò in una situazione imprevista e terribile, una scena di guerra. Franco Zuccalà, che era lì per il Tg1, si improvvisò staffetta per portargli le ultime notizie in cabina di commento: oggi, in un minuto, hai sul cellulare decine di aggiornamenti. Allora serviva il giornalismo vero, sul campo».
“Ed è gol”. “Ha il problema di girarsi”. “Sale l’urlo Italia Italia”. “Tutto molto bello”.«Come la Settimana Enigmistica: inimitabile, ma con molti tentativi di imitazione. Sapeva esaltarsi quando era il caso di farlo. Ci ha accompagnato nei nostri anni migliori. Possiamo solo dirgli grazie, è stato davvero tutto molto bello».