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Massimo Moratti: “Presto i club della Serie A saranno tutti in mani straniere”

Intervista al n.1 dell’Inter dal 1995 al 2013: “Le proprietà che vengono dall’estero cercano occasioni, noi avevamo anche la passione. Ma ai tifosi di oggi interessa solo la serietà delle società”

MILANO — Si è fatto guidare dalla passione. Anche nei momenti più difficili, spinto dall’amore per una società che in realtà era parte della sua famiglia, del suo cuore. Ha retto finché ha potuto, poi si è fatto da parte per amore della sua Inter. Massimo Moratti è uno dei simboli di quei presidenti mecenati, di chi era capace di gestire una società di serie A con le sue sole forze e soprattutto il patrimonio familiare. È stato uno dei primi a cedere, nel 2013 all’indonesiano Thohir: «Uno che aveva mezzi ed era intelligente», racconta l’ex patron nerazzurro, 79 anni ma sempre interessato al calcio. «Con la cessione alla famiglia Zhang anche lui ha fatto un buon affare».

Quando ha iniziato a capire che l’aria stava cambiando?

«All’inizio degli anni Duemila ha cominciato a crescere l’idea che il giocattolo stesse diventando non più sostenibile. Ma già nel mio periodo era piuttosto pesante: ci volevano resistenza e passione, senza non ce l’avrei fatta. Poi intorno al 2011 ho iniziato a pensare che servisse qualcun altro al comando. I tifosi non sono contenti se hanno un presidente appassionato ma che non tira fuori una lira. Così quando è arrivato l’interesse di Erick Thohir ho deciso di defilarmi, di fare un passo indietro».

Da quel momento le proprietà straniere sono aumentate esponenzialmente: oggi 11 club su 20 sono sotto il controllo di un gruppo estero. Perché i presidenti come lei stanno scomparendo?

«Il calcio va dove ci sono maggiori possibilità economiche, è normale. E poi qui si parla di fondi, soldi di tanti, oppure di famiglie con enormi patrimoni come i fratelli Hartono, i proprietari del Como, che possono sostenere i costi necessari a gestire oggi una società di serie A».

Mancano nel campionato italiano figure come lei, patron ma prima tifosi delle proprie squadre?

«Il tifo nasce da bambini, lo si vive, si alimenta il piacere di seguire un club. Chi arriva dall’estero cerca un affare, oppure vede un’avventura interessante. Non si può pretendere da loro la passione che ci mettevamo noi».

Eppure qualcuno della vecchia guardia resiste, alcuni c’erano anche ai suoi tempi.

«Sì e ne sono felice, ma il calcio ogni anno diventa un business sempre più caro, un gioco pericoloso da tenere in piedi».

Quindi, secondo lei, quanto reggeranno ancora i suoi ex colleghi?

«Dovessero ricevere una buona offerta venderanno anche loro. Si va verso una serie A con tutte proprietà straniere, la strada è quella. Agli spettatori non interessa la nazionalità, per loro basta che la società sia seria».

A distanza di tanti anni può dircelo: si è mai pentito di aver ceduto l’Inter?

«No, ogni cosa ha il suo tempo e io ho consumato bene il mio. Ripenso spesso alla mia Inter, ma non ho mai avuto nostalgia dei miei anni da presidente. È stato giusto fare un passo indietro, ma è stata un’avventura bellissima».

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