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Mbappé o Bellingham, arrivare a Berlino vale il Pallone d’oro

Dietro il duo brilla solo Rodri: l’organizzazione olandese non ha stelle da candidare. Si gioca troppo, un big in campo quasi duemila minuti in più rispetto a 30 anni fa

Il tema dell’eccesso di partite, individuato come spiegazione di un Europeo mediocre dal punto di vista del gioco, assume plastica evidenza nel momento in cui lo spazio mediatico dedicato ai tornei — è in corso anche la Copa America — confina con quello destinato ai raduni dei club. All’alba del 9 luglio ci sono ancora otto nazionali in gioco per le semifinali delle due grandi rassegne, e parliamo quindi dei 200 migliori giocatori del mondo o giù di lì: entro domenica 14, data delle due finali, tutti i loro colleghi meno famosi saranno al lavoro, a sudare in montagna e ad apprendere gli schemi dei nuovi allenatori. Per i migliori se ne riparlerà ad agosto, perché almeno tre settimane di vacanze sono un debito da pagare a fisici esausti prima che una conquista sindacale: il minimo da concedersi per non avere il fiatone già in autunno o, peggio, per non fermarsi ai box infortunati fin da settembre.

L’aumento del numero di partite è un discorso così frequentato da necessitare di qualche esempio per acquisire concretezza. L’urlo di Tardelli nella finale mondiale del 1982 sprigionava energia fisica e mentale anche perché Marco, quell’11 luglio, stava giocando la gara numero 40 della sua stagione: la Serie A era a 16 squadre, la sua Juve l’aveva vinta in volata sulla Fiorentina senza fare molta strada in Coppa dei Campioni, alla fine il quasi en plein con la Nazionale (sostituito una sola volta in sette partite) aveva portato il tempo d’impiego stagionale a 3.352 minuti. Il panorama del 1994 era cambiato: Serie A a 18 squadre e coppe europee allargate. Il simbolo della spedizione mondiale negli Stati Uniti, Roberto Baggio, toccò alla fine le 55 presenze per un totale stagionale di 4.743 minuti.

Nel 2006 vinciamo il titolo quando la A ormai è salita a 20 unità e la Champions si gioca con i gironi: Fabio Cannavaro porta a casa pure il Pallone d’Oro dopo 60 partite per un totale monstre di 5.411 minuti in campo. Quest’anno Nicolò Barella grazie a coppe e coppette pareggia il dato delle 60 gare malgrado l’Europeo infelice: i minuti però sono un migliaio di meno, 4.480, a dimostrazione che Simone Inzaghi conosce l’arte delle sostituzioni. Per superare il muro delle 60 andiamo all’estero: Ilkay Gundogan, regista della Germania e del Barcellona, ha chiuso la stagione con i quarti dell’Europeo a quota 66 partite e 5.256 minuti. Mille in meno per Julian Alvarez, che al Manchester City viene sostituito più di frequente: ma pure lui conta 66 gare e l’Argentina semifinalista gliene assicura almeno un’altra. L’inglese Phil Foden e l’uruguaiano Federico Valverde, entrambi ancora in corsa, sono a 65. Il più presente contando i minuti, però, è l’indistruttibile Rodri, 5.321’ in 61 partite nelle quali non è uscito praticamente mai. Scelta logica se considerate che nel City è rimasto imbattuto per la bellezza di 74 partite.

Rodri è l’anima bionica della Spagna di Luis De la Fuente, la nazionale più bella vista fin qui, e la lunga carriera del ct nelle rappresentative giovanili spiega la qualità del gioco: i suoi interpreti non l’hanno appreso nei quindici giorni prima del torneo, in buona parte lo praticano assieme da quando erano ragazzini. Rodri possiede ovviamente una buona tecnica, ma non è per quella che viene celebrato: il valore stellare gli viene dalla potenza atletica e soprattutto dall’acume tattico senza pari che lo porta a fare sempre la cosa giusta nei vari contesti di gioco.

Non a caso la scorsa stagione fu un suo gol ad assegnare la Champions al City a scapito dell’Inter. Gli valse il quinto posto nella graduatoria del Pallone d’Oro, e se la Spagna dovesse vincere il titolo quel piazzamento è destinato a migliorare tanto, forse tantissimo. Rodri sta sostituendo il declinante De Bruyne — 33 anni, molti acciacchi e l’Arabia alle porte — nel cuore di Guardiola, e il City ha portato all’ultima settimana di Europeo e Copa America ben 6 giocatori, meno soltanto dei 7 del Real Madrid, degli 8 del Psg (ma Mbappé balla fra i due club, se lo considerate già madridista i numeri si invertono) e ai 9 del Liverpool, che tra inglesi, olandesi e sudamericani ha mezza rosa impegnata, e conseguentemente poi assente fino ad agosto. Non una gran notizia per il nuovo tecnico Arne Slot.

Se Rodri è la faccia della Spagna per i premi individuali, l’Inghilterra promuove logicamente Jude Bellingham su tutti, anche se il suo Europeo fin qui è vissuto sulla salvifica prodezza anti-Slovacchia più che su un contributo costante. Non ha giocato tantissimo in stagione — 51 le sue presenze — ma è da tempo che Jude appare stanco. La Francia ha ottenuto molto dai difensori (Saliba il migliore), ma i difensori non vincono il Pallone d’Oro, salvo rare eccezioni (Cannavaro appunto): sguardo ancora su Kylian Mbappé, cui potrebbero bastare le ultime due partite, come per Bellingham.

L’Olanda non ha nomi da copertina altrettanto glamour — Gakpo è bravo ma non esageriamo — e potrebbe vincere il titolo proprio per la sua omogeneità. In Sudamerica, infine, l’uscita prematura del Brasile potrebbe costare il premio al candidato che partiva in pole, Vinicius. Resta da dire di un altro uomo d’acciaio, il già citato Valverde, polmone dell’Uruguay dopo esserlo stato del Real Madrid, mentre l’eliminazione ai quarti ha minimizzato le suggestive candidature di Kroos e addirittura Xhaka. Venendo alla serie A, l’eventuale successo porterebbe in classifica Lautaro Martinez e Theo Hernandez, che stanno giocando al loro miglior livello.

Il pensierino della sera è dedicato a due tramonti che, complice anche il calendario sfalsato, nella comparazione presentano numeri sproporzionati. Tra Mls e nazionale Leo Messi (37 anni) ha giocato 20 partite per un totale di 2.043 minuti, e vedrete che arriverà al prossimo Mondiale. Tra campionati, coppe arabe e Portogallo, Cristiano Ronaldo (39) ne ha messe assieme 57, per 5.043 minuti in campo, e non sanno come dirgli di rallentare. Less is more è un concetto che non gli apparterrà mai.

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