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Milan, a Verona la vittoria del motore. Ma la storia insegna che in attacco serve una star

Il commento all’anticipo della diciassettesima giornata dopo i giorni difficili vissuti dal tecnico rossonero Fonseca

I tre punti di Verona sollevano il Milan dal dubbio di dover prendere una decisione drastica, riscaldano la tavola di Paulo Fonseca e verosimilmente ne allungano la prospettiva agli ultimi due turni di Champions di fine gennaio, quando la chance della qualificazione diretta — se verrà colta — connetterà almeno in Europa il club rossonero al suo destino. Molto raccolto per un solo gol contro la difesa più languida del torneo, ma questa era una partita di svolta persino più di quanto sembrasse, e la pulizia della combinazione vincente tra Fofana e Reijnders ha ricordato che non tutto delle ultime campagne acquisti è da buttare. Fofana, in particolare, aveva già lanciato splendidamente Leao al gol dell’1-0 alla Stella Rossa, e dunque l’assist all’olandese di ieri conferma che non di solo schermo difensivo si tratta, ma di centrocampista completo nelle due fasi. Quel che si pensava perduto con l’addio a Tonali, che non fu una cessione ma una mutilazione.

Se escludiamo il derby, questa di Verona è la seconda vittoria esterna del campionato del Milan dopo Monza, guarda caso anche quella uno 0-1 firmato Reijnders, il cui rinnovo del contratto arrivato in settimana è un’ottima notizia. Lasciando ancora fuori inizialmente Theo Hernandez malgrado le molte assenze (poi il malanno di Leao l’ha costretto a rilanciarlo), Fonseca ha riaffermato la propria intransigenza, peraltro semplificata dalla bravura di Alex Jimenez, che davvero non dovrebbe uscire più: considerato che il suo piede naturale è il destro, quando le purghe saranno finite entrerà in concorrenza con Emerson Royal, e sarebbe strano se non la spuntasse. Questi tre preziosi punti recano la firma del deep state rossonero, gli uomini celati nel motore anziché le star della prima fila. E qui va compresa la stanchezza dei tifosi, cui un compleanno non esattamente opportuno — ma le date quelle erano — ha ricordato le epopee dei Van Basten e dei Shevchenko, e per quanto impietoso il paragone con gli attaccanti senza gol di questo periodo storico è stato inevitabile.

La notizia del debito con Elliott rifinanziato da RedBird con scadenza 2028 aggiunge ulteriore finanza a un club che è sì tornato all’attivo di bilancio, ma è costretto dagli ultimi tempi della proprietà Berlusconi a fare i conti con gli interessi da rendere, che tocchino all’inspiegabile Yonghong Li, al fondo che se lo mangiò a colazione e, adesso, a quello che è subentrato usando (anche) i denari del venditore. Non che il Milan sia l’unico club a muoversi in questo modo, anzi. Ma non si deve temere di passare per sempliciotti nel chiedersi se davanti al talento verde di Camarda non sarebbe il caso di mettere una stella vera — una sola, ma forte — anziché tre centravanti (Morata, Abraham, Jovic) che ci siamo abituati a elogiare per la loro partecipazione alla manovra con annessa disponibilità al sacrificio, perché piuttosto di niente è meglio un piuttosto.

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