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Milano ha perso la finale Champions 2027, ora l’allarme italiano è per Euro 2032

Il rebus San Siro non è l’unico pasticcio burocratico-politico per un sistema calcistico alle prese con stadi obsoleti. Mentre la Turchia ne ha 13 moderni e già pronti per il torneo, l’Italia fatica a trovare i 5 necessari. Napoli in grave ritardo ha la situazione più complicata, il Sud rischia di non ospitare partite

MILANO – La notizia era già stata anticipata da Repubblica lo scorso 29 agosto, ma resta dolorosa: il comitato esecutivo dell’Uefa ha ufficialmente deliberato che la finale della Champions League 2027 non si potrà giocare a Milano, come inizialmente previsto, “perché il Comune non poteva garantire che lo stadio di San Siro e le aree circostanti non sarebbero stati interessati da lavori di ristrutturazione nel periodo della finale”. Il processo di candidatura è dunque riaperto fino alla scelta del maggio 2025 e tutte le potenziali sedi europee, Roma inclusa, ripartono alla pari. E se per l’Italia e soprattutto per Milano non è certo una bella figura, adesso si aggiunge un timore malcelato: che qualcosa possa andare storto in vista dell’Europeo 2032, il primo grande torneo di calcio per nazionali del quale la Figc abbia ottenuto l’organizzazione dal Mondiale 1990, stavolta però insieme alla Turchia. Che è decisamente più avanti, con i suoi 13 stadi moderni (ne servono 5), mentre quelli italiani appaiono per lo più obsoleti.

Solo Torino e Roma ok

Il tempo stringe: è vero che l’Europeo è in calendario tra poco meno di 8 anni, ma la Figc deve consegnare entro il 31 ottobre 2026 il dossier stadi, con i progetti e la copertura finanziaria dei lavori, la cui partenza deve avvenire, secondo protocollo, nel marzo 2027, un anno dopo la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. L’ottimismo è ancora imperante, tuttavia sono di fatto solo due gli stadi pronti o quasi: a Torino lo Juventus Stadium e a Roma l’Olimpico, che verrà comunque interessato da lavori di ammodernamento. Per il resto le incognite sono tante, a cominciare da Milano, che è una sede scontata, però è alle prese dal 2019 col rebus San Siro. La quarta città dovrebbe spuntare dal duello tra Bologna e Firenze, con Genova terza incomoda. La quinta spetterebbe in teoria al Sud, dove Napoli è in palese ritardo e rischia di essere scavalcata da Palermo, da Cagliari o da Bari. Il pericolo concreto è che alla fine, andando avanti di questo passo, nessuna città meridionale sia in grado di ospitare il torneo.

San Siro e i grandi costruttori

Il garbuglio burocratico-politico parte da Milano. Il ritorno al 2019, quando si progettava l’abbattimento dell’attuale Meazza per la costruzione di un nuovo stadio poco lontano, è un passo avanti solo apparente. La demolizione completa è irrealizzabile, si fa strada quella parziale col mantenimento del secondo anello e di uno stadio per i concerti, che Inter e Milan acquisterebbero solo a un prezzo stracciato, per dividere poi le spese per il nuovo impianto in coabitazione, dopo avere quasi abbandonato per i costi, al di là delle dichiarazioni pubbliche, il sogno di costruirsene uno ciascuno, a San Donato e a Rozzano. Diventa cruciale il ruolo dei grandi costruttori, i veri protagonisti nemmeno troppo occulti della vicenda, che ha sempre l’aria di non potersi risolvere in fretta, anche se il sindaco Sala vorrebbe chiudere la questione prima della scadenza del mandato nel 2026.

Napoli è in ritardo

Il rischio di perdere per la prima volta un grande torneo per nazionali (c’era nel 1934, nel 1968, nel 1980 e nel 1990) è alto. C’è il tavolo di concertazione a tre aperto tra il ministro Abodi, il sindaco Manfredi e De Laurentiis: obiettivo il complicato e molto costoso restyling del Maradona. Il presidente del club si è impegnato a presentare entro inizio ottobre il suo progetto per rimettere a nuovo lo stadio di Fuorigrotta, affidato all’architetto Zavanella. I capisaldi sono la rimozione della pista d’atletica (rifatta nel 2019 con i fondi della Regione per le Universiadi), la rimozione definitiva del terzo anello – attualmente off limits per problemi di stabilità – e la sostituzione della fatiscente copertura realizzata per Italia ‘90. I costi dovrebbe accollarseli soprattutto De Laurentiis, a patto però che il Comune gli venda il Maradona a un prezzo di estremo favore. Tutto in alto mare, un po’ come a Bari, dove il dossier è fermo ad aprile e non si profilano novità.

Palermo spera grazie ad Abu Dhabi

A Palermo, invece, il City Football Group di Abu Dhabi, proprietario della squadra, ha anticipato le spese per gli interventi necessari a garantire l’apertura al pubblico del Barbera e scongiurare penalizzazioni in campionato. Si va dall’impermeabilizzazione di interi settori dello stadio e del tunnel che dagli spogliatoi porta al campo al rifacimento dei servizi igienici fino alla sostituzione delle torri faro con un impianto a led di ultima generazione e alla sostituzione dei lettori ottici ai tornelli. Il club ne ha approfittato anche per realizzare 8 nuovi sky box, in aggiunta ai 3 costruiti col contributo della Figc per lo spareggio mondiale con la Macedonia del nord. La maggior parte degli interventi rientrano nella manutenzione straordinaria a carico del comune proprietario dell’impianto, ma l’amministrazione non era in grado di fare fronte alle spese, che sono state così sostenute dal club, per circa 3,5 milioni di euro. Il problema è che la convenzione fra club e comune, che scade nel 2026, garantirebbe al club il recupero di poco meno di 500 mila euro in compensazione per l’affitto che il Palermo dovrebbe versare per il canone. Per questo nell’avanzo di bilancio il comune ha stanziato 3 milioni per gli interventi urgenti al Barbera.

Firenze cerca lo sprint

Il nuovo accordo tra Fiorentina e Comune è avviato: si giocherà sempre al Franchi, nonostante i lavori in corso. I fondi sono quelli del Pnrr, la durata dei cantieri è sicura per almeno altre 3 stagioni: non finiranno prima del 2028.

Bologna prova a incalzare

E’ stata annunciata una delibera con cui il Comune si impegna a investire 40 milioni per la ristrutturazione del Dall’Ara. Che però ancora non parte: il club cerca partner, perché i costi dei lavori – che inizialmente dovevano costare 100-110 milioni – sono lievitati a causa del caro energia e non solo. Per il 2025 sono già in programma decine di concerti al Dall’Ara: la partenza dei lavori, dunque, non sarà a breve.

Genova e la corsa contro il tempo

Genova studia come inserirsi. Nei giorni scorsi Genoa e Sampdoria hanno costituito la nuova società Genova Stadium. Il progetto dei due club verrà presentato nei prossimi giorni al sindaco. La base è il disegno dell’architetto colombiano Hembert Penaranda, con investimento previsto intorno ai 90 milioni. Il presidente sarà l’avvocato Francesco De Gennaro, presidente dello studio legale di Milano Dla Piper e già protagonista del salvataggio della Sampdoria. Ma si tratterà di un incarico a tempo. E’ già pronto a sostituirlo Andrea Cardinaletti, 67 anni, marchigiano di Jesi e a suo tempo già presidente del Credito Sportivo. Nel febbraio 2021 entrato nel Venezia calcio. Grazie all’esperienza che aveva maturato sul campo, il vecchio stadio Penzo è stato ristrutturato e reso agibile per la serie A in appena 100 giorni. Poi, a sorpresa, l’11 agosto 2022 il contratto col club lagunare è stato risolto consensualmente. Proprio il Credito Sportivo anticiperà per Genova una sessantina di milioni, mentre un’altra trentina dovrebbero essere garantiti dagli sponsor. L’idea è di lavorare d’inverno sulla preparazione di strutture prefabbricate, per poi passare alla demolizione e ricostruzione delle parti da cambiare in estate.

Cagliari e il relitto Sant’Elia

Quanto a Cagliari, il relitto del Sant’Elia è ancora in piedi, accanto all’arena provvisoria, dal 2017. Si attende dal Comune, a dicembre, il via libera per il bando internazionale dello stadio da 30 mila posti. Udine, Reggio Emilia e Bergamo hanno stadi rinnovati, ma una capienza inferiore alla soglia minima.

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