ROMA — “Problemi ci sono, certo. Ma siamo molto motivati a far sì che la trasformazione del nostro Paese funzioni davvero”. Hammad Albalawy ha guidato la candidatura dell’Arabia Saudita ai Mondiali 2034. Una assegnazione discussa, che lascia aperti dubbi serissimi sulle condizioni dei lavoratori e sul rispetto dei diritti umani: dalle esecuzioni sommarie al rispetto delle donne e delle minoranze.
Albalawy, lei sa che il Mondiale in Arabia Saudita evoca una parola: sportswashing. Come si difende?
“È un momento di straordinaria trasformazione. Ospitare la Coppa del mondo sarà il prossimo passo nel nostro sviluppo. Siamo molto entusiasti e molto motivati a farla funzionare. Perché la trasformazione funzioni siamo molto impegnati a investire per coinvolgere più persone possibile”.
In Qatar molti lavoratori migranti sono morti per realizzare gli stadi. Avete pensato interventi per evitare rischi analoghi?
“Negli ultimi otto anni abbiamo assistito a oltre 150 riforme sociali come parte della Vision 2030, il programma che porterà l’Arabia nel futuro. Abbiamo abolito il sistema della Kafala (un sistema in cui il lavoratore è quasi schiavo del suo datore di lavoro, e che in realtà è ancora largamente applicato, ndr). Abbiamo introdotto un sistema di protezione salariale, in cui si sono impegnate migliaia di organizzazioni in Arabia Saudita. E ci sono molte altre iniziative”.
In Europa si parla molto della condizione della donna in Arabia. Non crede che le donne debbano avere pari diritti rispetto agli uomini? Invece le discriminazioni esistono ancora, purtroppo.
“Per legge qui è obbligatorio che uomini e donne siano pagati allo stesso modo, nella Federazione calcistica saudita. Paghiamo la stessa indennità per la nostra squadra maschile e per quella femminile. Le nazionali maschile e femminile hanno accesso agli stessi stadi, alle stesse strutture e alle stesse risorse. Abbiamo fatto molta strada dal 2016. E aspiriamo a fare molto di più”.
In Arabia anche la comunità Lgbtq+ è da sempre oggetto di discriminazioni.
“Rispettiamo la vita privata di tutti: ogni fan sarà il benvenuto, senza esclusioni”.
Detto così sembra tutto perfetto, ma sappiamo che molti problemi restano.
“Abbiamo ancora molta strada da fare, ma ci impegneremo a migliorare tutti questi aspetti per realizzare la nostra visione”.
Quando si giocherà il Mondiale: estate o inverno?
“Bisogna ancora discuterne. Ma considerate che la Saudi Pro League si gioca per dieci mesi all’anno. Abbiamo molte opzioni”.
Quanto costerà il Mondiale?
“Molti dei progetti che servono sono già previsti nel nostro programma Vision 2030. Le infrastrutture pubbliche fanno parte di programmi esistenti o già pianificati. Il trasporto smart. Gli alloggi. Gli aeroporti. La Coppa del mondo non produrrà altri investimenti in quest’ambito”.
E gli impianti?
“Dal 1994, quando il Brasile vinse i Mondiali, la nostra popolazione è triplicata. Ma in questo periodo abbiamo costruito solo uno stadio. Oggi l’80 per cento della popolazione saudita segue il calcio e vuole più campi da calcio. E noi vogliamo soddisfare questa domanda”.
Quindi quanti stadi realizzerete?
“In tutto proporremo quindici arene, faremo in modo che siano tutte facili da raggiungere. Abbiamo tre stadi già in costruzione, uno è l’Aramco. E abbiamo già pianificato otto nuovi impianti: strutture multiuso che serviranno molti sport, ma avranno anche un club che lo userà come stadio di casa. Serviranno anche al calcio femminile, che due anni fa era quasi inesistente e oggi conta tre divisioni. Ma per dare spazio alle donne c’è bisogno di più strutture”.
A gennaio le squadre italiane in Arabia per la Supercoppa hanno trovato campi di allenamento non adeguati al loro livello.
“Sappiamo che abbiamo bisogno di migliorare le nostre strutture sportive. Il calcio in Arabia Saudita va professionalizzato”.
Intanto l’Arabia è diventata il principale partner commerciale della Fifa e c’è chi dice che anche per questo le siano stati assegnati i Mondiali. Riad potrebbe finanziare il Mondiale per club 2025?
“Il Mondiale per club è un grande torneo. Ma non è qualcosa in cui siamo impegnati o che abbiamo discusso con la Fifa. Almeno a oggi”.