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Napoli, arriva il quarto scudetto: è festa al Maradona

Con il successo sul Cagliari firmato da McTominay e Lukaku la squadra di Conte respinge l’ultimo assalto dell’Inter e vince il titolo per un punto. Per 22 minuti i nerazzurri sono stati virtualmente in testa, ma stavolta
nessuno poteva rovinare il trionfo

Napoli – Lo scudetto entra negli occhi e li fa lacrimare, perché lo scudetto è una nuvola di fumo blu. Ma è anche un suono lungo e largo, un po’ boato e un po’ tamburo, attorno alla bolla che avvolge lo stadio come una specie di anima. Lo scudetto è un bestione fatto da 55mila corpi. Lo scudetto è uno sfondo di cielo prima azzurro e poi nero, rigato dai fuochi d’artificio, le voci di dentro e di fuori, razzi sparati contro le nuvole già all’ora di pranzo. Mille colori è approssimazione per difetto.

La pazza gioia dello scudetto

Lo scudetto è gioia pazza, è la somma dei gol esteticamente perfetti perché questa felicità ha preteso esagerazione, ha chiesto e ottenuto sforbiciate volanti (McFratm) e galoppate selvagge (Big Rom), mica reti qualunque. Lo scudetto è il coro ripetuto come un mantra per ore, “Il Maradona vuole vincere”, ed è l’enorme mano di cartapesta che fa le corna e che sosta a Fuorigrotta prima, durante e dopo il rito, non è vero ma ci credo. Lo scudetto è la pupazza di stoffa con i capelli blu che un tizio porta a spasso per eventuali selfie e foto ricordo, e a domanda («Chi è questa bella signora?») il tizio risponde: «Ma è la moglie di Pedro!». Presente, il marito, sotto forma di santino con aureola.

Un corteo infinito da Pozzuoli a Fuorigrotta

Che giorno, e che notte. Un corteo infinito di motorette e scooter ha scortato il pullman del Napoli da Pozzuoli a Fuorigrotta, quasi tutti con una mano guidano e con l’altra filmano, roba da lasciarci la pelle a ogni metro. E quando il torpedone si è quasi fermato davanti allo stadio, i tifosi si sono avvicinati e lo hanno accarezzato come una reliquia che può curare ogni male, alleviando tutti i dolori. Il resto è stato attesa denudata dal cliché. Scaramanzia? Ma quando! Bandiere con il numero 4 ovunque, semmai, e magliette, e sciarpe. A tutto questo, la partita si è appoggiata come una decalcomania, una specie di pellicola sgargiante sulla pelle. Che poi l’Inter abbia segnato per prima, spostando il Napoli al secondo posto per 21 minuti e mezzo, è apparso quasi un ghiribizzo per aumentare tensione e felicità.

L’abbraccio un po’ freddino tra De Laurentiis e Conte

E poi Antonio Conte lassù nell’acquario, pesce tropicale nel box di tribuna, squalificato ma immanente. Prima della partita saluta con la mano, manda baci e si fa il segno della croce. Al gol del vantaggio zompa, al raddoppio va quasi a sbattere contro il vetro. Lascia la tribuna al 91’ e scende sul prato a stringere Oriali e Lukaku, però Romelo si era arrabbiato con quelli che festeggiavano prima. Aurelio De Laurentiis è a bordocampo, abbraccia Conte che resta un po’ freddino come il nipote che riceve gli auguri dalla zia, il figlio Edo piange. Lo slogan sugli scudetti giganti che si passano i calciatori è: “Ag4in”, ancora, col 4.

La coreografia della curva

C’è un’etica dello scudetto e c’è un’estetica. Quella della coreografia di curva, ad esempio, dove uno scugnizzo corre e strappa il tricolore dalla maglietta del bambino nerazzurro, pare veramente un mezzo Caravaggio. Si esce anche in questo modo dai luoghi comuni: non abbiamo visto Totò, Peppino e nemmeno un trancio di pizza, nessuno ha dipinto Pulcinella nei drappi appesi sulle gradinate dove lo sport è storia ma anche geografia, così scorrono i nomi del centro e dei margini, Napoli e Caserta vicino a Sessa Aurunca, Pedimonte Matese, Rionero in Vulture e Acerra. Tutto si svolge dappertutto, però la punta del compasso è conficcata a centrocampo. Poi, alzando lo sguardo, ecco Maradona ovunque, e poi il bandierone dove lui è voltato, perché il suo volto è un numero 10, e alza le braccia al cielo come un santo. “Maradò, Maradò” canta la gente, e il cemento si mette a tremare.

Una nuova dimensione senza più miracoli

Che bella la felicità quando è di tutti e non costa niente. La sventolata di 55 mila bandiere azzurro cielo non si può dimenticare, e nemmeno i cori che la ritmano molto oltre la fine, che è solo un inizio. Lo stadio ha capito che questa è una nuova dimensione senza più miracoli, senza divinità in campo, senza stupefazioni, come un vestito che adesso lo indossi perché è il tuo. Lo scudetto no, non è un’abitudine ma è un sapore che ancora gira in bocca. Anche questo dicono i napoletani mentre la partita finisce e la gran festa comincia, e sull’erba montano il palco della premiazione (ne avevano organizzata una pure a Como…), incidendo “Napoli” sul trofeo in diretta, e il resto è un fuoco, è una musica. Vediamo uomini grossi con la pelle dipinta, giovanotti barbuti, bambini che ridono, vecchi con le lacrime sulle guance e leggiadre fanciulle scatenate. Lo scudetto sono loro.

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