“Primo: non prenderle”. Era una massima molto cara a Enzo Bearzot, che costruì la storica vittoria dell’Italia al Mondiale del 1982 in Spagna blindando innanzitutto la porta di Dino Zoff. Ma della stessa scuola di pensiero fa parte anche Antonio Conte, che dal suo arrivo nel ritiro estivo di Dimaro ha indicato subito (pubblicamente e nello spogliatoio) il suo obiettivo prioritario per ricostruire dalle fondamenta il Napoli. «I 48 gol incassati nello scorso campionato, 27 al Maradona e 21 in trasferta, sono stati la causa principale della discesa fino al decimo posto in classifica. È un problema che va assolutamente risolto».
Detto e fatto, si direbbe dai risultati raggiunti dagli azzurri nella fase iniziale della nuova stagione. Sono infatti già quattro i clean sheet tra Coppa Italia e Serie A – contro Modena, Bologna, Cagliari e Juventus – e 251 i minuti di imbattibilità esclusi i recuperi (striscia aperta) di Alex Meret: battuto per l’ultima volta su calcio di rigore da Bonny al 19’ della sfida a Fuorigrotta contro il Parma del 31 agosto. Adesso il portiere friulano si dovrà fermare per qualche settimana, per la distrazione di secondo grado all’adduttore della gamba sinistra che lo aveva messo ko sabato scorso a Torino: un infortunio fastidioso e confermato dagli esami medici eseguiti ieri mattina alla clinica Pineta Grande. L’emergenza tra i pali preoccupa però relativamente a Castel Volturno, visto che Elia Caprile ha l’esperienza e i mezzi tecnici necessari per non far sentire troppo la momentanea mancanza del suo collega.
Ma la migliore garanzia per il reparto arretrato del Napoli è la presenza sulla panchina di uno specialista come Conte, che nei suoi ultimi 5 campionati di Serie A da allenatore (tre alla Juventus e due all’Inter) ha sempre avuto la difesa meno battuta del torneo. Adesso il tecnico leccese si è messo in testa di ottenere lo stesso risultato pure alla guida dagli azzurri e per riuscirci sta lavorando duramente su due fronti: dal punto di vista tattico e – persino di più – psicologico. C’erano infatti da rimuovere le ingenti macerie lasciate dalla scorsa stagione e l’avvio da horror del 18 agosto a Verona – con i tre gol subiti nel secondo tempo allo stadio Bentegodi – aveva fatto addirittura temere che i limiti difensivi della squadra fossero irrimediabili, in quanto strutturali. Invece il recupero di Alessandro Buongiorno (assente per un infortunio alla caviglia nella trasferta in Veneto) ha subito migliorato la situazione e un po’ alla volta stanno crescendo di rendimento anche tutti i suoi compagni, in particolare Giovanni Di Lorenzo e Amir Rrahmani.
Conte li ha aiutati a superare le loro insicurezze puntando all’inizio sulla difesa a tre, che riduce gli spazi da coprire in marcatura per i centrali. Missione compiuta, visto che il Napoli s’è lasciato in fretta alle spalle il doloroso contrattempo di Verona e ha cominciato a ritrovare compattezza e solidità grazie al 3-4-2-1. Ma gli acquisti alla fine del mercato di due centrocampisti di grande valore come McTominay e Gilmour, sommati alla ritrovata autostima di Di Lorenzo e dei suoi compagni, hanno permesso al tecnico leccese di ritornare già a Torino contro la Juventus al modulo 4-3-3, che gli azzurri conoscono a memoria e avevano sempre utilizzato come un punto di forza fino al disastro della scorsa stagione. Al di là dell’assetto tattico, però, la riscoperta solidità del reparto arretrato si spiega soprattutto con i consigli, la carica agonistica e la tranquillità trasmessi dai giocatori alla panchina, insieme alla condizione fisica di nuovo al top.
Emblematica la crescita di Meret, decisivo contro Modena, Bologna, Parma e Cagliari. Ora il portiere si ferma e tocca a Caprile, dalla sfida di Coppa Italia di giovedì al Maradona (21) col Palermo. Il bunker del Napoli è nelle sue mani.