La seconda pausa di campionato congela un paesaggio in lento movimento. Il Napoli si è allontanato dopo aver lasciato balenare col (bravo) Como qualche sospetto di pigrizia: effetto del gol arrivato prima dell’alba — dopo 25 secondi stavi già 1-0, hai voglia a dire che resti umile — ma per una squadra che non gioca in Europa l’ultimo vizio accettabile è esattamente questo. Conte deve averlo spiegato nell’intervallo con i disegnini, perché nella ripresa la piacevole scherma del Como ha graffiato assai meno, assordata dal motore del Napoli: il centrocampo magistralmente assortito. Se Lukaku può fare la differenza con i suoi inneschi, se Neres può produrre numeri impressionanti in minuti modesti — inevitabilmente cresceranno — è perché la tela di Lobotka, i recuperi di Anguissa e gli strappi di McTominay si combinano a meraviglia. Dopo la pausa il Napoli avrà ulteriore ossigeno per alimentare il suo fuoco (Empoli e Lecce), e presentarsi agli scontri diretti (Milan, Atalanta e Inter in successione) guardando tutti dall’alto in basso.
Ecco, l’Inter. Risalita al secondo posto grazie alla sventatezza della Juve, a metà novembre giocherà contro il Napoli quattro giorni dopo la sfida di Champions con l’Arsenal. È un dettaglio da non trascurare perché la nuova formula dei tornei europei costa maggiori energie nervose rispetto al passato. L’Inter ha sì battuto il Torino, ma subendo altre due reti e da un’avversaria in dieci, in frangenti che potrebbero risultare istruttivi: il primo immediatamente dopo il gol del 2-0, il secondo nell’azione successiva all’uscita del povero Zapata, il più pericoloso dei rivali. Due evidenti cali di tensione nei momenti in cui tutto sembra sistemato, due mancanze di energia nervosa, perché con sette rotazioni a partita non è il caso di chiamare in causa le gambe. È dall’estate che si immagina un Napoli avvantaggiato dall’astensione europea. Lo scorcio di stagione che ci aspetta dopo la sosta, con cinque gare di campionato (per lui) e due di coppa (da aggiungere alle altre), sarà rivelatore.
Non è semplice capire se ci sia un’influenza della Champions anche sul passaggio a vuoto della Juve, strepitosa a Lipsia nel gioco e nello spirito, leziosa e svagata contro il Cagliari. Intendiamoci: la Juve ha dominato. Ma l’ha fatto nuovamente col suo calcio iperprotetto e un po’ onanista, tornando indietro nella ragnatela alla prima maglia sarda che compariva sul tragitto e quasi sorprendendosi della resistenza del Cagliari a un possesso palla asfissiante (74-26) e a una sarabanda di passaggi orizzontali fotografati a fine gara in un mostruoso 654-189. A fronte di tutto ciò un gol su rigorino, un paio di occasioni mancate male (la svagatezza) e la chance offerta al Cagliari da Douglas Luiz, che è ormai ufficialmente il primo problema stagionale: gioca poco, e durante quel poco di guai ne combina. Motta lamenta che la squadra, via via che la gara procedeva, pensasse a gestire anziché attaccare ancora. Forse le fatiche della Champions si annidano qui.
Quelle del Milan sono le scorie più fisiche perché Fonseca fa giocare sempre gli stessi, il che suona a condanna della qualità della rosa. Detto questo, la furia dell’ultima mezz’ora di Leverkusen a Firenze non s’è mai vista. D’accordo che De Gea ha raffreddato ogni bollore parando da fenomeno due rigori, ma in tutte le molte svolte di una gara strana il Milan è stato assente, distante dalla Viola e soprattutto da una versione competitiva di se stesso.
Quante squadre viaggeranno a lungo sul treno dell’alta classifica? Le prime tre hanno vidimato il biglietto e il Milan va lasciato in sospeso, perché continua a lanciare segnali discordanti. Noi vediamo nell’Atalanta, anche se attardata, un’altra potenziale passeggera: i progressi di Retegui sono vertiginosi, e in mezzo al campo non c’è compito che Ederson non sappia svolgere da satanasso. Tra le outsider piace anche la Lazio perché Baroni capitalizza ogni risorsa a disposizione: una volta gliela risolve il rifiorito Dia, un’altra il bomber liberato Castellanos, Nuno Tavares è in corsa per il titolo di acquisto dell’anno, ieri ha fatto strike il 37enne Pedro, campione del mondo evergreen. Nella Lazio segnano tutti, al contrario della Roma dove Dovbyk è l’alfa e l’omega di ogni ambizione offensiva. Certo, in un torneo che sta viaggiando alla cifra folle di 4,5 rigori a giornata, a Baldanzi ne è stato negato uno chiaro. Secondo noi, gli è stata negata anche una maglia da titolare.