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Nazionale, la commissione che vuole Gravina: cos’è, come funziona, chi ne fa parte e i rischi

Un organismo composto da dirigenti dei club che collaborerebbero con le nazionali per favorire l’impiego dei giovani italiani nelle loro squadre. Luci e ombre della novità

DORTMUND – Una commissione per avvicinare i club al mondo delle nazionali e favorire la crescita dei giovani italiani. Il presidente della Figc Gabriele Gravina l’ha annunciata poche ore dopo l’eliminazione dell’Italia dall’Europeo. Sembrava, costruita così, una reazione a caldo alla delusione bruciante, alla figuraccia. In realtà è un’idea che ha radici profonde.

Da chi sarà composta la commissione

Gravina ne parlava da sette mesi, non è stata una proposta a caldo per dare soluzioni usa e getta alla fame di riscatto. Si tratta di un gruppo di “tecnici”, non intesi come allenatori, ma di addetti ai lavori, che avrebbero il compito di avvicinare gli interessi della Nazionale – anzi, del cosiddetto Club Italia, in cui confluiscono anche le giovanili azzurre – e quelli dei club di Serie A. I nomi li ha poi orientati lo stesso Gravina. Almeno all’inizio sarebbero coinvolti Beppe Marotta (Inter), Cristiano Giuntoli (Juventus), Umberto Marino (Atalanta) e Giovanni Sartori (Bologna): rappresentano, a ben guardare, due big e le due rivelazioni del campionato. Premesso che nessuno è stato già cooptato (la commissione deve ancora nascere) sono stati sondati anche altri direttori sportivi italiani che hanno storicamente attenzione per i vivai.

Cosa potrà fare la commissione

Dicevamo che la commissione dovrà avvicinare nazionali e le società del campionato. Ma cosa vuol dire? Gravina ha sempre sofferto proprio la distanza degli altri club dalla Nazionale: l’unico interesse che normalmente esplicitano è riavere presto i giocatori o che i loro giochino meno possibile per non rischiare stanchezza o infortuni. Coinvolgere i dirigenti dei club dovrebbe servire a favorire una maggiore disponibilità da parte delle società e degli allenatori a far giocare il maggior numero di italiani, considerato che per le norme comunitarie non è possibile imporre un numero minimo di calciatori da impiegare sempre sulla base della nazionalità: sarebbe una discriminazione. In più, la commissione potrà stare con gli azzurri e accompagnare il ct Spalletti: dare informazioni sui giocatori che segue, permettergli di dedicarsi esclusivamente al campo, senza doversi occupare di questioni da “direzione sportiva” che in un club non competono certo a un allenatore.

Che conseguenze può avere

La mossa è anche politica: avvicina la Figc – fin qui sostenuta apertamente solo da 4 club di A, Juve, Milan, Inter e Roma – alle altre società e spacca il fronte antagonista guidato da Lotito. In questi mesi infatti la tensione è accentuatissima, come dimostra anche l’emendamento Mulè al Decreto Sport: un testo che, se passasse, rischierebbe di cancellare il ruolo stesso della federazione, dando alle Leghe (Serie A, B, C, dilettanti) competenza anche sui campionati giovanili. Quella di Gravina, col coinvolgimento dei club, sembra quasi una mediazione. Anche magari in funzione di una possibile rielezione (Gravina deve ancora decidere se ricandidarsi).

Il rischio di dietrologie

Di contro però mescolare club e federazione, ancora di più club e la Nazionale, può favorire la nascita di dietrologie. Ad esempio: se un giovane dell’Atalanta fosse convocato nell’Under 21 o in Nazionale e un giocatore di una squadra non rappresentata in commissione stesse fuori, qualcuno potrebbe vederlo come il risultato dell’influenza sulla Nazionale di questa commissione. Idem nel caso in cui un big dell’Inter o della Juve (oggi, sono le due big che presterebbero i propri dirigenti alla Nazionale) fosse risparmiato e magari quello del Milan o del Napoli no. Insomma, l’idea a bocce ferme piace a tutti, ma nella sua applicazione pratica può diventare un’arma a doppio taglio.

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