BERLINO — Il primo a fiutare l’aria era stato Roberto Mancini. Dicono che ai fedelissimi un anno fa confessasse: «Questa squadra rischia di non andare nemmeno all’Europeo». Ora che dall’Europeo è stata buttata fuori, presa a pallate dalla Svizzera, non possiamo non pensare che per l’Italia sia la cronaca di una morte annunciata. Poteva fermarsi prima, molto prima: quando il Var si spense su un rigore evidentissimo per l’Ucraina nella partita che doveva decidere il girone di qualificazione. E lunedì, quando sono serviti otto minuti di recupero a Zaccagni per tenerci in Germania. Quanto ancora potevamo sfangarla?
L’addio di Mancini a Ferragosto
Il progetto è nato zoppo. A Ferragosto Mancini prese i soldi arabi e scappò lasciando Buffon senza l’uomo che l’aveva appena voluto capo delegazione della squadra azzurra e la Federcalcio senza allenatore. A Gravina però bastò una chiamata. A Spalletti, non il ct più adatto a proseguire quel lavoro, ma «il migliore sul mercato». In pratica, un paracadute, come a dire: noi il nostro lo abbiamo fatto, ora tocca a lui. E Spalletti, che la voglia di allenare una nazionale non l’aveva mai avuta, di fronte “alla” Nazionale ha risposto: «Obbedisco». Come fosse una chiamata alle armi.
La lite tra Spalletti e De Laurentiis
Ma sembra un puzzle in cui anziché cercare la tessera giusta si forzano quelle a portata di mano: puoi anche incastrarle, ma il quadro darà un’immagine distorta. In fondo il matrimonio nasceva sulle ceneri tumultuose dello scudetto del Napoli: De Laurentiis annunciava di voler impugnare accordi, esercitare clausole, chiedere soldi. Prima di ufficializzare il matrimonio tra Spalletti e la Nazionale si attese il 1° settembre per ridurre pretese e clausole. Prima di scoprire che erano solo minacce.
Gravina, posizione scomoda
Ti chiedi se il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina abbia deciso che sia ora di farsi da parte: dopo aver vinto l’Europeo ha dovuto ingoiare solo mattoni di delusioni, sia politiche (il naufragio della sua riforma dei campionati) sia sportive, con Berlino che segue l’esclusione Mondiale con la Macedonia. Ma no, non lo farà. E non lo ha fatto Spalletti, che a ogni partita, a ogni conferenza stampa, sembra però stare meno comodo su quella panchina. Ha passato un anno a cercare una formula che funzionasse e poi, quando pareva averla trovata, ha passato l’Europeo a smontarla dopo la lezione della Spagna. Come se il primo a non crederci del tutto fosse lui.
Le scelte sbagliate di Spalletti
Aveva scelto un gruppo e poi ha sacrificato elementi chiave sulla scaletta dell’aereo per la Germania vedendoli fuori forma, ripagato da sguardi pungenti e messaggi rabbiosi a mezzo social. Ma una volta qui, non ha saputo affrancarsi dalla gratitudine per Di Lorenzo, suo capitano a Napoli, né cogliere la forma di Zaccagni, né affidarsi da subito all’intuizione primaverile Fagioli, nata sfogliando elenchi di giocatori alla ricerca di uno che gli ricordasse Lobotka.
La rabbia di Buffon
Mentre sfilavano verso il pullman all’Olympiastadion, i giocatori sembravano sentirsi più vittime di un torto che protagonisti di una disfatta. Gianluigi Buffon sconsolato schivava fendenti: «Io non parlo. Spero che qualcuno lo faccia…». Ma Bellanova sbuffava dopo due settimane in Germania senza giocare un minuto, Pellegrini e Mancini si nascondevano dietro due addetti stampa, Barella zoppicava più vistosamente del solito, Raspadori inviava messaggini. Chissà se sanno che in patria li attende un processo che li ha già giudicati: impresentabili.