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Nelle piazze della protesta, la festa di Tbilisi: “L’Europa è casa nostra”

Notte di gioia dopo la qualificazione agli ottavi di finale

TBILISI — È la notte dei miracoli. I clacson e i fuochi d’artificio si mischiano ai canti e alle grida di gioia in una cacofonia commovente. E infatti c’è chi piange.

La festa

La partita si è conclusa da pochi minuti: la Georgia, mai prima d’ora qualificata agli Europei, è riuscita nell’impresa di battere il Portogallo e conquistare un posto agli ottavi. Su viale Rustaveli, la principale arteria della capitale Tbilisi, teatro negli ultimi mesi di imponenti manifestazioni antigovernative, ogni auto incolonnata è un palcoscenico. I tifosi in visibilio svettano dai tettucci aperti, se ne stanno seduti sulle portiere con i finestrini abbassati, ballano sui cofani avvolti nel drappo nazionale. Qualcuno si aggira a piedi portando vassoi colmi di bicchierini di chacha, la grappa locale, e li offre agli automobilisti in coda. Gaumarjos, “vittoria”, è l’augurio con cui si brinda in questo Paese plasmato da secoli di invasioni.

La gioia nelle piazze della protesta

Quando infine si raggiunge piazza della Libertà, dove nelle scorse settimane erano schierati i blindati e gli idranti delle forze antisommossa che più di una volta hanno disperso le proteste, lo spettacolo dei ragazzi arrampicati sulla statua di san Giorgio, alta 35 metri, è salutato con cori e applausi. Nelle strette viuzze del centro storico si esulta dai balconi in legno: giovani, anziani, bambini, tutti uniti per celebrare un trionfo che credevano irrealistico. I palazzoni dei quartieri periferici sono illuminati a giorno da una miriade di colori sparati nel cielo. I festeggiamenti proseguono fino ai primi bagliori dell’alba. Il Paese pare avere ritrovato la concordia: il potere del calcio. Eppure, la profonda crisi politica che sta attraversando la Georgia, a ben vedere, è sempre lì. Allo Stamba, un’ex stamperia sovietica riconvertita in pluripremiato hotel di design, simbolo della rinascita culturale di Tbilisi, è allestito uno delle decine di megaschermi sparsi a ogni angolo della capitale.

Europa ed Europeo

Centinaia di giovani e giovanissimi sono radunati nell’ampio anfiteatro. Per molti di loro, il calcio è uno sport che fino a poco tempo fa consideravano estraneo. Si alzano in piedi in massa non appena la palla finisce nella metà campo avversaria, anche se è chiaro che l’azione non porterà a nulla. Sono entusiasti, si emozionano, sussultano a ogni tocco di Khvicha Kvaratskhelia o di Georges Mikautadze, a ogni parata di Giorgi Mamardashvili. I calciatori sono i loro nuovi eroi. «Grazie a loro l’Europa ci sta conoscendo per ciò che siamo, coraggiosi e determinati», afferma Teona, 26 anni, che ha partecipato a tutte le dimostrazioni dell’aprile e maggio scorsi, manifestazioni contro l’approvazione di una legge liberticida che promette di allontanare la Georgia dall’Occidente e di avvicinarla alla Russia. La lotta della nazionale georgiana, ai suoi occhi, è quella della sua generazione: «L’Europa è la nostra casa, la nostra unica destinazione». Una sovrapposizione simbolica che traspare anche dalle parole della presidente Salomé Zourabichvili, che si è congratulata con la squadra vittoriosa «non solo per essere entrata in Europa, ma per aver puntato in alto». Ai ferri corti con la maggioranza di governo, è in prima linea nel difendere il futuro europeo del Paese.

Il premio da dieci milioni di euro

L’impresa che attende ora i ragazzi di Willy Sagnol è davvero ardua. E chissà se gli ulteriori dieci milioni di dollari promessi ai giocatori in caso di vittoria sulla Spagna dal miliardario Bidzina Ivanishvili, fondatore ed eminenza grigia del partito al potere (dopo i 10 già sbloccati con il successo sul Portogallo), serviranno da sprone.

Ma più del denaro, è lecito credere, a motivare i giocatori saranno le speranze e l’affetto di un intero Paese, che tuttavia già si accontenta di aver assistito alla scrittura di una pagina importante della sua storia. “È il giorno più bello della mia vita”, ha detto mercoledì Kvaratskhelia. E di buona parte dei georgiani, non c’è dubbio.

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